30.9.06

Eutanasia per Mammona
Maurizio Blondet
26/09/2006
Maurizio Blondet

Ai lettori che chiedono il mio parere sull'eutanasia: pietà, esentatemi!
Non basta la disgustosa evidenza?
Una sceneggiata allestita dalla «zona grigia massonica» - i radicali e il loro caso pietoso, subito raccolto da Napolitano - è diventata il cavallo su cui sono saltati i partitanti.
«Il mio regno per un cavallo!», grida il re-criminale di Shakespeare.
Questi l'hanno avuto.
Ora lo cavalcano, il cavallo della morte amministrata: per distrarci mentre loro, Polo e Ulivo, cosiddetta destra e sedicente sinistra, bruciano nel camino in fretta le carte, ossia le intercettazioni Telecom che quasi certamente li inchiodano, e li travolgerebbero se rese note.
Un bel trucco mediatico.
Eutanasia è anche la sola «cosa di sinistra» che la gauche al potere può proporre.
In economia, non possono proporre altro che la «competitività-flessibilità» della globalizzazione liberista, il pensiero unico elaborato dai signori del profitto.
Fateci caso, accade sempre così: quando deve in qualche modo salvarsi, la ricca casta che vive «di» politica anziché «per» la politica, che fa?
Vilipende la pietas dei credenti.
Siamo il loro punching-ball.
I credenti sono ormai pochi, l'applauso è assicurato.
Dico noi credenti, non tanto la Chiesa: quella italiana sa e accetta la sua funzione di sacco da pugni, è per questo che prende l'8 per mille, è questa la «funzione pubblica» che le lasciano svolgere.
Probabilmente in buona fede burocratica, è la Chiesa italiana che è caduta nella trappola della «legalità».
Essa stessa chiede di «legalizzare», sperando di porre così limiti legali al peccato.
Meglio l'aborto, dice, del «Far West».
Invece, il Far West è meglio, se si tratta di legalizzare il delitto.


Ci sono cose che si fanno - si sono sempre fatte - ma che è meglio restino vietate e clandestine.
Una è la tortura.
In Algeria, i militari francesi la praticarono e nel suo modo sinistro «funzionò»; ma se ne assunsero la responsabilità davanti alla corte marziale, la spiegarono - avessero avuto torto o ragione - come un mezzo estremo per la salvezza della patria, perchè l'Algeria era patria, territorio metropolitano, che avevano giurato di difendere.
La giustificazione aveva il senso del tragico, nel senso proprio della tragedia greca: lo scontro fra due valori supremi, inconciliabili, in cui l'uomo all'altezza della tragedia espone sé stesso, rischia la sua vita, violandone uno per obbedire all'altro.
Ma la legalizzazione della tortura - come vuole adesso Bush - abolisce la tragedia e la sostituisce con la procedura burocratica, il mostro freddo.
Una volta legalizzata, la tortura diventa routine: da caso eccezionale e rischioso, diventa uno dei mezzi a disposizione del giudice ordinario.
E i giudici la useranno contro i cittadini normali: fa risparmiare faticose indagini.
Già i procuratori italiani hanno mostrato questa tendenza, con la carcerazione preventiva per estrarre confessioni.
Figurarsi se non approfitterebbero di uno strumento legale così utile.
La legalizzazione come routine la conosciamo: basta vedere l'aborto, diventato, da tragedia e vergogna, mezzo di contraccezione usuale.
L'eutanasia è una delle cose che non vanno legalizzate.
Anche perché nessun giurista potrebbe stabilire, e mettere nel codice, il momento esatto in cui la vita del malato degrada a china di morte, la cura diventa accanimento terapeutico, la morte lasciata accelerata, da crimine, pietà.
E' meglio che lo faccia il medico - come i medici hanno sempre fatto - in piena coscienza della sua tragedia: a lui la responsabilità di stabilire quanto la dose di morfina sia un palliativo e quanto il veleno pietoso.
Sapendo che la sua faciloneria o incuria può essere chiamata in giudizio, e definita omicidio.


Perché gli sia chiaro, al medico, che non va appiattito il momento supremo dell'agonia, quel passaggio indefinibile in cui ciascuno di noi si trova davanti al suo Dio, o alla sua verità. Dovrebbe svilupparsi una terapia dell'agonia che mirasse all'altra, definitiva «guarigione».
Una scienza trascurata.
Chi non darebbe la morfina a un agonizzante terminale?
Io stesso la chiederei.
Però mi trattiene il fatto che i tibetani, nel loro Bardo Thodol, incitano il morente a non addormentarsi, a sostenere da sveglio quel «bivio».
Non mi si rimproveri, prego, di pescare ecletticamente a una religione altra (e magari «falsa»): qui, il buddhismo va considerato una sapienza naturale.
I monaci tibetani parlano di un limite estremo che hanno esplorato, è la loro scienza.
Essi dicono, scientificamente a modo loro, che è ancora possibile fare qualcosa - e infiniti testi medievali, concordi, erano manuali di «apparecchio alla buona morte», i nostri «libri dei morti».
Il medico dovrebbe fare un ultimo gesto terapeutico, invitare il morente ad abbandonare i pesi che possono gravarlo nel «giudizio»: gli odii, le invidie; a chiedere e dare perdono.
A rinunciare una volta per tutte, anche al corpo.
La legalizzazione mira a sottrarci l'ultima occasione spirituale.
E mira a rendere la morte accelerata una procedura normale.
Chi la chiede, in fondo?
All'estero, le assicurazioni private, uno dei più potenti motori finanziari della Massoneria (ricordiamo le nostre Generali, fondate dai Morpurgo).
Da noi l'INPS: gli economisti previdenziali già lamentano: un tempo, un pensionato viveva cinque anni dopo il termine del lavoro e poi moriva, con gran sollievo della casse.
Oggi, disdetta, il pensionato sopravvive vent'anni.
L'esborso è eccessivo, la situazione «va corretta».


Si può correggere in due modi: tagliare le pensioni (impopolare) o tagliare la vita dei vecchi. Nel clima di diritto evolutivo dominante, è facile vedere che la legge «pietosa» per casi estremi sarà allargata via via a furor di popolo: liberateci del nonno, costa troppo!
Non possiamo consumare, andare in vacanza alle Mauritius, comprare il nuovo telefonino!
Il nonno 84enne è sano?
Senectus ipsa morbus est, diceva Cicerone.
I vecchi medici condotti dicevano: il geronte è una statua di sabbia.
Sembra sano, ma basta un raffreddore a ridurlo in polvere.
Non mancherà mai motivo per accelerare le «sofferenze» del vecchietto in casa di riposo: la pietà praticata col pensiero al telefonino.
La pietà di Mammona, il dio del mondo globale-capitalista e finanziario.
Il potere mondiale dei bottegai e degli usurai fa di tutti noi degli strumenti, della produzione o del consumo: da eliminare quando diventano, da profitto, un costo.
L'orrore è che noi ci stiamo, ci lasciamo amministrare come un gregge, e considerare il loro allevamento zoologico da tosare: così tributando, noi per primi, la nostra fede a Mammona, e alle sue leggi indiscutibili.

E poiché siamo in argomento - Mammona - rispondo a quei lettori che mi chiedono cosa rispondo a uno che polemizza con me su internet, quell'Attivissimo spesso citato da Mentana come l'ultima istanza della verità ufficiale sull'11 settembre.
Anche qui, pietà.
Da cinque anni, questo personaggio vuol dimostrare ancora, con leggi della fisica, della chimica e della dinamica, che è normale che due grattacieli a gabbia d'acciaio, colpiti lateralmente, cadano verticalmente.
O che un aereo da 60 tonnellate penetri nel Pentagono e si volatilizzi, senza danneggiare il prato antistante.
Ognuno è libero di seguire i suoi hobby: chi dipinge per hobby, fa di solito quadri ridicoli, ma non è umano farglielo notare.


Io, nei miei libri, non ho mai parlato dei fatti «tecnici», non mi sono mai chiesto se sul Pentagono fu lanciato un aereo o un razzo.
Invece ho esposto i propositi politici che spiegano i moventi di quel falso attentato, che lo prevedono e lo promuovono: la dottrina Wolfowitz sul riarmo, l'auspicio di «una nuova Pearl Harbor» in un documento ufficiale del 2000, le esercitazioni in corso quel giorno, il comando di tali esercitazioni passato dal Norad, cui spettava, a Dick Cheney: qui, la fisica e la chimica non c'entrano nulla.
Non si può smentire con la fisica il fatto che Osama era un agente CIA, e che l'agente pagatore di Mohamed Atta, il generale pakistano Mahamoud dell'ISI, si trovava a Washington quel giorno e, invece di essere arrestato (una settimana prima aveva inviato ad Atta 100 mila dollari) era a pranzo dal capo in carica della CIA e dal futuro capo della CIA.
Né c'entra la statica con il proposito di aggredire l'Iraq e l'Afghanistan, manifestato da quei signori prima dell'11 settembre: c'entra con la volontà di far male, che cerca pretesti e li crea, avendone il potere.
Segua pure il suo hobby Attivissimo.
La sola cosa che mi offende, e a cui rispondo, è che - dicono i lettori - egli parli di me come uno che sostiene la tesi dell'auto-attentato «per far soldi con i suoi libri».
Coi miei libri, cari lettori, anche per gli argomenti trattati, è improbabile fare soldi, diventare ricchi.
Vivo della mia pensione, da quando sono stato licenziato (unico nella storia del giornale «cattolico»).
Una pensione non male, sui 30 mila euro l'anno.
Molti, oggi, guadagnano meno.
Vivo in un bilocale e ho un'auto di seconda mano.


Per riguardo ai più poveri di me, non mi lamento, se non per il fatto che la mia personale forza finanziaria non mi consente di affrontare i rischi tipici del giornalista: le querele per diffamazione o calunnia, e le controquerele che dovrei mandare ai miei diffamatori.
Fra parentesi, è questo il motivo per cui non mi occupo di cose italiane, di Telecom e di Prodi.
In Italia, è accaduto che un giornalista sia stato condannato per diffamazione per aver chiamato «boiardo di Stato» un…boiardo di Stato.
Quello s'è sentito offeso, e un giudice gli ha dato ragione.
Non c'è difesa in Italia, per chi voglia dire la verità, e non abbia milioni per gli avvocati.
Così, non mando querele ad Attivissimo per la sua insinuazione.
Faccio notare ai lettori che, io, quando pubblico una notizia insolita, contraria alla «informazione dominante», cito la fonte.
L'Attivissimo che mi dice arricchito dai miei libri, cita una fonte che lo provi?
Forse Tavaroli gli ha fornito i dati del mio conto in banca?
Non credo.
La sua è, come tutte, un'illazione. Senza fondamento.
Certo è difficile ai lettori capire il valore della povertà deliberatamente accettata; la Chiesa non ne parla più.
Ma rivendico per me questo: io dalle mie scelte sono stato reso povero, mentre altri dalle loro, sono stati resi ricchi.
La mia, come ho detto, è una povertà relativa.
Ma fra i quattro invitati di Matrix ero certo il più povero.
I due europarlamamentari percepiscono in un mese e mezzo il mio reddito annuale.
Mentana, quanto varrà?
Mi par di ricordare, 500 mila euro annui: sedici anni del mio reddito.


Lo yacht di D'Alema vale 30 anni della mia pensione.
Bruno Vespa - l'ho saputo da fonte certa che non posso citare, ma non è un'illazione - gode di una pensione da 700 mila euro annuali, a cui si aggiungono gli emolumenti miliardari per la sua rubrica. E Magdi Allam?
Anche lui guadagna in un mese la mia pensione di un anno.
Ciampi, in un anno percepisce trent'anni e passa della mia pensione, non disprezzabile, frutto di 37 anni di lavoro e contributi.
Da ultimo poi, proprio per le mie prese di posizione sull'11 settembre, mi sono trovato contro cattolici che credevo amici.
Uno ha impedito a un autore di citarmi nelle note, come aveva avuto la bontà di fare, minacciando altrimenti di non far uscire i libri (ha un potere di questo genere sulla casa editrice: rendere Blondet una non-persona).
Un altro, scrittore famoso, ha preso le distanze non da oggi; evidentemente non vuole compromettersi con un condannato dalla psico-polizia.
Non gliene voglio.
Non ne voglio a nessuno.
Solo, faccio notare ai lettori che una cosa unisce questi personaggi: sono ricchissimi.
Miliardari.
E' questa causa della loro debolezza in un caso, o l'odio attivo che li anima nell'altro: Mammona. Chi dalle sue scelte è stato reso ricco, non dirà la verità fino al punto di diventare povero.
Specie di questi tempi, quando a ciascuno di noi viene messo quel segno, senza il quale «non si può vendere né comprare», è questo il discrimine.
Non si possono servire due padroni.
Il che vale (e chiudo) anche per David Icke.

Mi chiedono troppi lettori eccitati: ha letto Icke?
Dice le cose che dice lei.
No, non proprio: Icke prende qua e là da tutta la letteratura complottistica, a cominciare dai Protocolli dei Savi di Sion, e attribuisce il grande complotto ai «rettiliani».
Liberi i lettori di credere ai rettiliani, ma non mi chiedano il mio parere: è offensivo, come chiedere a un archeologo epigrafista, che si sforza di documentare ogni sua asserzione, cosa pensa del Segreto della Piramide, o se ha trovato le prove che Cheope era un extraterrestre.
Per me il lavoro di Icke entra nelle procedure, ben note ai servizi segreti, della manipolazione-screditamento: si tratta di screditare argomenti seri fingendo di promuoverli, ma mandando tutto in vacca aggiungendo qua e là un particolare demente.
Posso sbagliare, naturalmente.
Magari il personaggio è persino in buona fede.
Solo, vorrei notare due cose: nessuno ha mai chiesto di «far tacere» Icke, che pure prende per veri i «Protocolli dei Savi di Sion»; mentre tutti i giornali italiani, e diversi parlamentari (da Taradsh a Bondi), hanno imposto, gridato, urlato che bisogna chiudere la bocca a Blondet, che deve tacere, che deve essere bandito da tutti i media.
L'agente Betulla è stato difeso dal suo direttore; io, da nessuno.
L'altro dettaglio è che i libri di Icke si vendono molto, ma molto più dei miei.
Che rendono benissimo, che sono best-seller.
C'è qui un mistero non troppo oscuro: «Ai più piace il brutto», disse Sant'Agostino.
E ai «più», alla massa, a cui il brutto piace per natura più del bello, anche il falso piace più del vero, la finzione raffazzonata più della ricerca seriamente documentata.
Chissà perché.
Probabilmente, un miracolo di Mammona, il dio che ci possiede tutti.

Maurizio Blondet


Copyright © - EFFEDIEFFE - all rights reserved.


Nessun commento: