29.8.06

Briciole di ragione, un mare di demenza
Maurizio Blondet
28/08/2006
Il presidente della repubblica turca Ahmet Necdet Sezer

Il presidente della repubblica turca, Ahmet Necdet Sezer, s’è dichiarato contrario all’invio di truppe turche in Libano: «La Turchia non ha il dovere di proteggere l’interesse nazionale di altri Paesi», ha detto. (1)
Ha dato voce così alla convinzione dell’opinione pubblica nazionale, convinta che la risoluzione 1701 («Disarmare Hezbollah») serva a proteggere l’aggressore, Israele, dall’aggredito.
La TV turca non ha nascosto nulla delle devastazioni criminali inflitte al Libano.
«La Turchia è stata raggirata a mandare soldati, mentre Paesi più forti si astengono dal mandare i loro. Nel momento in cui la Turchia ha i suoi problemi, non è suo compito risolvere i problemi di sicurezza di altri Paesi».
L’accenno ai problemi è un’allusione alle attività terroristiche che i curdi del PKK lanciano dai santuari del Kurdistan iracheno: recentemente aerei turchi hanno bombardato questi santuari, ma gli USA vietano ad Ankara di inseguire i terroristi nel territorio iracheno.
Infatti ha detto il presidente: «Perché mai il nostro esercito dovrebbe essere in Libano, se la Turchia non riceve appoggio nella lotta contro le organizzazioni terroriste?».
Le dichiarazioni del presidente, in duro contrasto con la volontà del governo Erdgonan (islamico «moderato») di partecipare alla forza d’interposizione, cadono nell’imminenza della visita ad Ankara di Kofi Annan, che verrà appunto a chiedere soldati.


Parole di dignità e di ragione.
Che contrastano con l’euforica demenza che pare abbia colto l’Italia, in vista dell’interposizione. «L’Europa è rinata», titola il Messaggero: «L’Italia torna fra i grandi», strilla La Repubblica.
Né si dovrà tacere sul penoso spettacolo del «popolo della pace» che ad Assisi applaude la nostra entrata in una guerra che ci coinvolgerà, ovviamente perché a trascinarci nel tritacarne approntatoci dai sionisti è il «loro» governo Prodi.
Fosse stato il governo Berlusconi, avrebbero coperto l’Italia di bandiere arcobaleno.
Tutti questi preti e suore a giustificare, sragionanti e farfuglianti… l’intervento.
Doppiezza morale, settarismo provinciale, altro che pacifismo.
Non che a destra imperi la lucidità.
Rileggo gli SMS che mi manda ogni mattina l’amico Siro Mazza, che si alza presto e divora
i giornali, segnalando poi le dichiarazioni più dementi.
In questi giorni, i suoi SMS compongono il panorama agghiacciante di una sorta di follia collettiva indotta - quella demenza irresponsabile che (chi ha studiato la nostra storia lo sa) è stata preludio costante della nostra entrata nelle imprese belliche più disastrose.
Esempio: 19 agosto: «Su Il Giornale, Introvigne: ‘Iran eguale Terzo Reich’ (allora fare il paragone si può, certe volte). E aggiunge: ‘Islam attende come Messia il Mahdi’. No, attende Gesù!».
Già: tutti noi conoscevamo Massimo Introvigne, almeno, come conoscitore di religioni.
Ora commette un errore elementare: dimentica, l’ex-esperto, che anche per i musulmani il Messia atteso è Gesù figlio di Maria, Issa bin Mariam.
Anche per gli sciiti che inoltre attendono il Mahdi.


Prova vivente di quanto l’odio frenetico e indecifrabile possa istupidire.
Altro SMS: «Su Il Foglio oggi porno-cristianista Langone minaccia di morte chi dice che Hezbollah non è terrorista, e cita empiamente san Bernardo esortando ad ammazzare gli islamici».
Non so bene chi sia questo Langone, né perché Siro lo chiami porno-cristianista.
So che la frenesia bellicista di questo personaggio, nei giorni della devastazione del Libano, raggiungeva culmini da orgasmo.
Primo agosto: «Su Il Foglio il cristianista Langone loda Israele per i suoi missili ‘crociati’».
24 agosto: «Sempre più minacciosi: su ‘Il Foglio’ oggi il cristianista Langone evoca l’omicidio Moro, per il suo filo-arabismo…».
Sete di sangue, voglia di sterminio.
Per giorni e giorni, naturalmente, i media hanno aizzato l’odio e le oscure paure italiote agitando all’infinito il caso del padre pakistano che a Brescia ha ucciso la figlia.
Libero titola: «Il mandante è Allah».
Siro Mazza scrive un SMS il 21 agosto: «Se l’omicidio del padre pachistano è un ‘delitto islamico’, allora l’omicidio del sagrestano cingalese è ‘cattolico’?».
Già: e che dire della camorra, la quale ammazza ogni anno a Napoli oltre cento persone - più di quanto il terrorismo islamico abbia mai ucciso in Italia (la cifra, per questo, è zero) - senza suscitare un allarme sociale minimamente paragonabile al delitto di Brescia?
La camorra è così perchè cristiana?
Ma le domande ragionevoli sono in questo momento escluse: la prima vittima della guerra, prima ancora che la guerra cominci, è notoriamente l’intelligenza.


L’onorevole Giovanardi l’ho conosciuto, ho sempre apprezzato la sua posata ragionevolezza. Ora intima agli islamici che abitano tra noi: «Chi vuol essere cittadino italiano rinunci alla doppia cittadinanza e identità, e sia patriota solo italiano».
Siro Mazza commenta: «Vale solo per gli islamici, o anche per altri popoli del Libro?».
Già. Perché Giovanardi, nella sua nuova demenza, non capisce nemmeno di aver toccato un tasto scottante: una quantità di ebrei italiani hanno doppia cittadinanza e identità, e tutti possono avere
a semplice richiesta la cittadinanza israeliana, solo portando le prove del loro sangue eletto (madre, nonna, o ava giudea), perché lo Stato ebraico è il solo stato razziale del mondo.
Molti giovani ebrei italiani sono andati in questi giorni a combattere per la loro vera patria.
Pezzana (quello del Fuori e di Informazione corretta, quello che fa le pulci a giornalisti non-obbiettivi) giorni fa su Il Foglio piangeva uno di questi, caduto in Libano.
Ora, si deve sapere che la legge italiana vieta l’arruolamento di suoi cittadini in eserciti stranieri.
La magistratura, che ha accolto le denunce contro l’Ucoi, potrebbe utilmente indagare sugli ebrei che vivono tra noi e violano le nostre leggi.
Pezzana potrebbe essere messo in galera per apologia di reato. (2)
E Giovanardi potrebbe rivolgere la sua intimazione a Pacifici e al rabbino Di Segni: «Chi vuol essere cittadino italiano rinunci alla doppia cittadinanza e identità, e sia patriota solo italiano».
Potrebbe e dovrebbe, se la ragione - la razionalità giuridica, romana, gloria dell’Occidente - non fosse oscurata dal nuovo diritto talmudico.


Infatti, come ci ricorda un altro SMS, il ministro Giuliano Amato istruisce burbero i musulmani dell’Ucoi: «L’esecrazione per l’olocausto è il sentimento fondante della democrazia».
E ancora: «L’Ucoi si uniformi ai valori della nostra repubblica, come l’esecrazione dell’olocausto e la sua unicità».
Chi mantiene un briciolo di ragione resta interdetto: pensava che «il sentimento fondante della democrazia» fosse il senso dell’uguaglianza fra tutti i cittadini davanti alla legge, senza i privilegi e le esenzioni basate sul sangue che furono tipiche dell’ancien régime.
Pensava che la democrazia avesse a che fare con concetti laici come la sovranità popolare, «nessuna tassazione senza rappresentanza», e cose del genere.
Ora invece Amato, il fine giurista, ci informa che la democrazia è basata su una fede sacrale, e su un sentimento mistico: non solo «l’esecrazione per l’olocausto», ma la credenza inconcussa nella sua «unicità».
Anzitutto: quale psico-polizia misurerà l’esecrazione, questo sentimento privato ed intimo, che però dà la cittadinanza?
Chi non esecra abbastanza, perde i diritti di cittadino?
Non ha più la protezione della legge?
Diventa un meteco, un semi-schiavo?
Sarà espulso, o privato del passaporto?
Ma prescrivere la fede nella «unicità dell’olocausto» è ancora peggio, perché annulla la laicità dello Stato e la neutralità religiosa del discorso pubblico.


L’Islam, come sappiamo, impone di credere nella unicità di Dio; in Italia, ancor oggi, ciascuno può non credere, senza incorrere in reato, ad alcun Dio.
Amato impone la vera sharia totalitaria a cui dobbiamo tutti obbedire. (3)
«E’ la nuova teocrazia ebreo-latrica», commenta Siro.
Infatti: questa è la sola religione pubblica rimasta, come abbiamo già detto in passato.
La sola religione, ormai, che esiga un culto pubblico esterno e ufficiale, e che riesca a imporlo, assai meglio della Chiesa vecchia.
Altro SMS: «Il democristiano Kossiga in Israele dei suoi amici-padroni. E va in pellegrinaggio: a Yad Vashem, mica al Santo Sepolcro».
A questa nuova religione, senza stupore, s’inchinano i cardinali della vecchia fede superata.
SMS di Siro, 25 agosto: «Cardinale Shonborn su Il Foglio oggi: ‘ebrei ancora popolo eletto. Israele loro terra per diritto divino’. La nuova e subalterna alleanza... Sì, il nuovo testamento è abolito. Ritorna in vigore l’antico, con effetto retroattivo…».
I SMS si susseguono, è tutto un fiorire di demenze e insensatezze:
30 luglio: «Bernard Henry-Levy su Il Corriere: esercito ebraico più simpatico che marziale».
29 luglio: «Libero: Beirut bombardata troppo poco».
22 luglio: «Per l’equazione Israele=Nazismo, Gasparri ha sollecitato la galera per i capi dell’Ucoii».
«Oggi su Il Giornale Minimo Introvigne invoca attacco all’Iran per evitare ‘un nuovo olocausto’».


Ebbene, vedete come avanza la nuova religione: l’olocausto deve restare «unico».
Introvigne è già un noachico benemerito, talmudista a piena cittadinanza.
Potrà, come i «cittadini» israeliani di razza palestinese, circolare con un’auto che ha targa di colore diverso da quello dei cittadini ebraici a pieno titolo: con quella targa, i «cittadini» israelo-palestinesi hanno il divieto di circolare su certe strade privilegiate, riservate ai bianchi.
Un tempo si chiamava apartheid, ora è la sacra democrazia, quella della non-uguaglianza.
Quella che i nostri soldati vanno a difendere in Libano. (4)
Ci è grato citare, come mite antidoto alla demenza collettiva, un commento di Massimo Fini sulla faccenda dell’Ucoii.
Fini ridicolizza Magdi Allam, il quale ha sostenuto su Il Corriere che con quel comunicato, l’organizzazione musulmana: «Nega il diritto di Israele all’esistenza e ne predica la distruzione». Ma nel comunicato, per quanto deplorevole, questo non c’è: falsità, demenza, istigazione all’odio religioso e razziale.
Dov’è finita la legge Mancino?
Dice Fini: «Non è possibile che Israele pretenda, come pretende, un trattamento privilegiato in ragione dello sterminio di sessant’anni fa… l’Ucoii ha espresso un suo punto di vista. Le espulsioni, le fatwa, la garrota, le manette, lasciamole ai totalitarismi». (5)
Voce della ragione civile, laica, secolare: ma oggi isolata e flebile, nella demenza generale.

Maurizio Blondet


Note
1) «President Sezer strongly opposes turkish troops in Lebanon», Cihan News Agency, 26 agosto 2006.
2) O in TSO, trattamento sanitario obbligatorio psichiatrico. Un SMS che riguarda il militante ebreo-omosex: «9 agosto. Su Libero, Pezzana infuriato perché i missili Hezbollah hanno fatto annullare il Gay World Pride a Gerusalemme. Terroristi!». Demenza, pura demenza.
3) Il dottor sottile, almeno, parla pro domo sua. Il cognome «Amato» si traduce, in ebraico, «David». Non si finirà mai dall’essere affascinati dalle misteriose protezioni che rendono intoccabile questo individuo: braccio destro di Craxi e mai sfiorato da Mani Pulite, pregato in ginocchio da D’Alema di entrare nel suo partito (la Cosa due), quasi che la presenza di Giuliano David fosse necessaria a salvare quel che restava del PCI… Amato sembra essere una di quelle figure che certi poteri forti internazionali hanno messo dentro i partiti italiani come «controllori» o sorveglianti. Un’altra figura simile è Napolitano, e lo fu ancor più il suo maestro Amendola: il gruppo cosiddetto migliorista, affini ai repubblicani di La Malfa più che alla classe operaia; e i soli comunisti che, negli anni ‘50, godevano del visto permanente per gli USA. Comunisti non lo erano, palesemente. Ma il partito se li teneva cari. Né loro l’abbandonarono mai: nel ‘56, rivoluzione ungherese, molti comunisti veri e onesti stracciarono la tessera. Napolitano il moderatissimo, non lo fece. E si capisce bene perché: nel partito, lui c’era stato messo per fare un lavoro.
4) Il rabbino israeliano Ytzakh Ben-Zvi, sulla pubblicazione «Hasidic World», ha scritto: «Gli arabi sono gente simile agli asini… una vile nazione di selvaggi, assetati di assassinio: sono peggiori del nemico nazista». La notizia è stata diramata dall’agenzia Ynet.news, «Haredi writer accused of racism», 26 agosto 2006.
5) Massimo Fini, «Ma ciascuno ha il diritto di protestare come vuole», La Padania, 26 agosto2006.


Copyright © - EFFEDIEFFE - all rights reserved.




http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1396&parametro=politica

23.8.06

Nasrallah capisce Clausewitz? (Dan Halutz no)
Maurizio Blondet
19/08/2006
Sheikh Hassan Nasrallah durante uno dei suoi discorsi

«Non abbiamo un programma sciita o di parte. Siamo sunniti perché sosteniamo i palestinesi.
E siamo cristiani perché ci ispiriamo a Chavez, che ci è più vicino dei leader arabi
».
Sono alcune delle abili dichiarazioni che Asian Age (1) ha raccolto nel quartiere generale Hezbollah, attribuibili direttamente a Nasrallah o ai suoi più vicini collaboratori.
«Non siamo contro Israele perché è uno Stato ebraico, ma perché è uno Stato sionista», ossia messianico.
«Storicamente, non ci sono problemi tra ebrei e musulmani».
Abile a calmare le ansie irrazionali dell'Occidente.
In questi giorni, Nasrallah e i suoi sono ben attenti a non parlare di «vittoria sciita».
Nessuna proclamata intenzione di imporre la Sharia in Libano.
Tutti i loro discorsi sono altamente politici, accuratamente depurati di ogni riferimento alla religione, e tutti puntati a sottolineare che Hezbollah ha combattuto per «l'unità del Libano».
Con richieste di collaborazione agli altri partiti libanesi, dai cristiani ai comunisti (che hanno già risposto positivamente).
«Ci sono molti che cercheranno adesso di rompere l'unità, e questo non deve essere permesso», ha detto Nasrallah nel suo primo discorso dopo il cessate il fuoco.
I militanti che hanno combattuto, oggi vengono impegnati nella ricostruzione; li si vede accanto ai soccorritori civili fra le macerie, attenti a non fare distinzioni, nei soccorsi, tra sciiti, sunniti e cristiani.
Il linguaggio che esce dal quartier generale Hezbollah non viene dal vocabolario del fondamentalismo, ma da quello del gergo ideologico della sinistra post-moderna, più precisamente alter-mondialista e anti-imperialista.


In questo senso è costante il riferimento al venezuelano Chavez: «Aspiriamo a un progetto di cooperazione tra i movimenti di resistenza del mondo, e in questo Chavez ci è più vicino dei leader arabi».
E ancora: «Consideriamo la [nostra] resistenza ad Israele l'inizio di una riscossa, e chiediamo a tutti i movimenti di resistenza di unire le nostre forze per portare la lotta all'imperialismo ad un nuovo livello».
Internazionalismo no-global.
Propaganda, è facile dire.
Ma sarebbe una sottovalutazione la novità di questa propaganda.
Nasrallah appare come un nuovo tipo di capo musulmano, mai visto prima: della generazione dei musulmani informati dalle loro TV pan-arabe e moderne, Al-Jazeera e Al-Arabia, che compulsano le notizie alternative su internet, che conoscono la situazione del mondo; capaci di distinguere in Occidente fra «crociati» (giudeo-americani) e potenziali amici; desiderosi di inserirsi nel movimento mondiale anti-imperialista: a loro agio nell'uso del linguaggio «globale» in una visione globale.
Oggi, a parlare la rozza lingua del fondamentalismo è Bush.


I capi Hezbollah sono apparsi al giornalista indiano di Asian Age «disciplinati, altamente motivati» e «understated in their views», sul modello dello stesso Nasrallah, sempre calmo, «intelligente», e mai esagitato quando appare in TV, capace di «understatement» nelle dichiarazioni, ossia di rinunciare alle vanterie e retoriche tradizionali del discorso pubblico arabo (ricordiamoci Saddam e la sua «madre di tutte le battaglie», o l'ayatollah Khomeini del «grande Satana»).
Ma c'è di più: Nasrallah sta applicando la lezione del più occidentale dei teorici della guerra: von Clausewitz.


Carl von Clausewitz

Nei 34 giorni di fuoco contro Israele
, nei momenti più duri e scoraggianti (un'armata di 30 mila uomini e corazzati contro i suoi 2500 guerriglieri) non ha mai perso di vista che «la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi».
Che le armi sono solo uno strumento - come la propaganda, e l'immagine televisiva post-moderna - per ottenere uno scopo «politico».
Ben conscio che Hezbollah combattente era davanti all'inevitabile sconfitta militare - la sproporzione schiacciante delle forze - l'ha trasformata in questa strana «vittoria» cui assistiamo: sì al cessate il fuoco dell'ONU, sì alle forze d'interposizione.
Ha capito che per «vincere» bastava resistere ancora un po', sparare qualche inutile razzo in più su Israele, liquidare ancora un Merkava, pagare l'alto prezzo di cento Hezbollah uccisi per ogni israeliano, fino alla «internazionalizzazione» del conflitto.
E l'internazionalizzazione è precisamente la vittoria.


Per capirlo, basta confrontare la situazione di Hezbollah e quella dei poveri palestinesi di Gaza. Vittime da mezzo secolo delle angherie sanguinose israeliane senza fine, senza alcuna ONU che si interpone, quasi che la loro persecuzione inaudita fosse una questione interna israeliana, senza controllo e perciò senza limiti di crudeltà.
«La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi» è una frase tanto nota da essere un luogo comune nel discorso occidentale.
Quasi ci si vergogna a ripeterla.
Ma è dubbio che il nuovo «Occidente» americano-ebraico l'abbia compresa.
Il generale Dan Halutz, il capo di Stato Maggiore, certo non l'ha compreso.
Pilota «americano», confidante nella capacità risolutiva dei bombardamenti aerei, ha vantato di non provare alcun sentimento quando lasciava cadere le bombe dal suo aereo; «solo la lieve scossa» dovuta all'uscita fisica della bomba.
Dichiarazione rivelatrice: dice che Dan Halutz «sente» se stesso come una parte meccanica dell'armamento.
E crede che la guerra consista, primariamente, nell'ammazzare.


Il generale israeliano Dan Halutz


E l'intero Israele vive nella stessa follia politica, indotta dall'adorazione di Sharon e dei suoi metodi brutali: le armi non come mezzo ma come fine in sè.
Il bastone bellico sempre e comunque, in sostituzione di negoziati, trattative e intelligenza politica. Il nemico additato come «terrorista» ha questo senso: il terrorista non ha dignità politica, non è un avversario politico.
Ma con ciò, si riduce la politica a repressione di una banda criminale, l'armata a polizia.
La guerra all'assassinio.
Anzi, ancora peggio: i generali israeliani si lasciano dettare la loro strategia dalle armi.
E' l'errore fatale da cui Clausewitz metteva in guardia con quella frase-luogo comune: mai permettere che siano le armi a fare la politica, la politica deve sempre «guidare» i carri armati e i missili.
Così si spiega come mai, per le strade di Tel Aviv e di Gerusalemme, gli israeliani, disorientati e indispettiti, continuino a ripetersi e a protestare: «Non è vero che abbiamo perso! Abbiamo vinto!». (2)
E mostrano le loro armi strapotenti, mostrano i missili, le atomiche; ripetono che «ancora pochi giorni», se non fosse avvenuto il cessate-il-fuoco, avrebbero «spazzato Hezbollah dalla faccia della terra».
Non riescono a capire, o meglio non vogliono - ed è singolare come gli ebrei abbiano perso, diventando israeliani e «asiatici», la loro proverbiale sottigliezza.
Non capiscono che le armi non devono essere strapotenti: basta che siano «sufficienti».
Sufficienti a raggiungere il risultato politico.


E invece, ecco qual è il risultato politico della «vittoria» giudaica: hanno mostrato al mondo una faccia brutale di massacratori di civili e criminali di guerra.
Hanno creduto che essendo super-armati ed appoggiati dalla superpotenza militare planetaria, potessero infischiarsene del mondo, delle leggi internazionali: la definizione esatta di «rogue State», Stato-canaglia.
Oggi, Israele è visto come l'energumeno del mondo.
Non solo il mito della sua invincibilità è intaccato (sarebbe il meno); il suo isolamento politico internazionale è palese, la sua posizione morale è devastata.
La forza d'interposizione ONU va lì non a «disarmare Hezbollah» ma, sostanzialmente, a proteggere la società civile libanese dalle bastonate dell'energumeno planetario.
Nessuno disarmerà Hezbollah: e Israele se vorrà farlo, dovrà passare coi suoi cingoli sulle forze europee d'ìnterposizione.
E la società libanese è unificata, almeno per ora, dal bastone giudaico, e non divisa come sperava il bastonatore.
Nasrallah, per contrasto, appare il più ragionevole e razionale.
Parla in modo più articolato di Dan Halutz e di Olmert: il «terrorista» si fa capire, ed espone un programma «politico», nel senso migliore: la chiamata a raccolta di genti diverse a fare qualcosa insieme.
Il linguaggio progressista fa appello ad un mondo più vasto di quello islamico: è un linguaggio che capisce Chavez, che capiscono gli europei di sinistra, che capisce - laggiù nel fondo dell'Asia - la Cina.


Israele ha perso, e ha perso perché ha rinunciati ad essere occidentale.
Perché ha dimenticato Clausewitz ed ha adottato l'America - di Bush il fondamentalista, di Rumsfeld, dei cristiani rinati - quest'America che non è più Occidente.
La prova viene ancora da Dan Halutz, che è un lapsus freudiano incarnato: che cos'è la prima cosa che ha fatto il capo di Stato Maggiore, alle prime cannonate?
Ha venduto i suoi titoli, azioni e obbligazioni.
Non da stratega, ma da manager della Enron.
Prima che alla vittoria, ha pensato al profitto finanziario, o almeno a contenere le perdite di mercato.
Alla battaglia ha pensato dopo: convinto, da americano, che le armi facciano il lavoro da sé; che avendole infarcite di «chips» e rese intelligenti, non abbiano bisogno d'intelligenza politica.


Le Figaro intanto, scopre che a Damasco, i preti cristiani e quelli greco-cattolici hanno invitato i fedeli a «pregare per la resistenza e per Hassan Nasrallah, che difende la giustizia». (3)
«In Siria come in Libano, i cristiani mostrano la loro solidarietà con i profughi sciiti. Sabato, la Mercedes nera del patriarca greco-cattolico Gregorio III, seguita da quella del nunzio apostolico, è arrivata nel cortile polveroso di un monastero di Sednaya, dove ha confortato oltre 500 rifugiati dalla Bekaa, tutti o quasi sciiti».
«Il patriarca ha intonato l'inno nazionale libanese, trascinando nel canto decine di bambini rifugiati attaccati alla sua talare».
La sera i rifugiati sciiti ringraziano il patriarca alla loro maniera.
E' la festa della Trasfigurazione, ci sono scout e studenti cattolici, e la banda musicale (che non suona «in segno di lutto per il Libano»); nella processione entrano una cinquantina di rifugiati, donne col velo e uomini barbuti.
Essere cristiani ed arabi è difficile, difficilissimo.
Difficile essere lievito, fermentante e sempre a rischio di essere «purificato», l'identità araba combatte, anche nei loro cuori, con Cristo «Occidente».
Ma proprio per questo, nessuno come i cristiani spera che il messaggio di unità nazionale di Nasrallah, lo sciita post-moderno, non sia solo propaganda.
Padre Elias Zahlawi, parroco di Nostra Signora di Damasco, dice: «Nasrallah è un saggio».
Il rischio che il fondamentalismo sciita diventi qualcosa di tremendo, lo sente e lo capisce, glielo dice il sangue cristiano, che conosce secoli di sofferenza.
«Ogni potenza emergente, se non è controllata dall'intelligenza, può diventare un cancro. Ma con Nasrallah, non ho paura».


Il Patriarca Gregorio III

Forse sarà solo propaganda, vedremo.
Fino ad ora, la qualità politica di Nasrallah è abbastanza evidente da rassicurare.
L'uomo è noto per dirittura e onestà, ha perso un figlio di 18 anni nella precedente guerra con Israele, una strada di Beirut è dedicata al nome di suo figlio.
E' ritenuto privo di doppiezza.
Per il resto, padre Elias spera in qualcosa di impalpabile, mai sufficiente e sempre pericolante.
Ma concreto e forte, di quell'Oriente in cui vive.
«Vede questo orologio? Me l'ha regalato la moglie del più grande sceicco siriano, il mio miglior amico, che è morto da poco, in ricordo della nostra amicizia. E il terreno su cui sorge la mia chiesa, me l'ha venduto un musulmano a metà del prezzo, perché si trattava di costruirvi un luogo di culto».
Voi occidentali, conclude padre Elias, «non capite le realtà religiose orientali».
Essere arabo e cristiano è difficile, difficilissimo.
Ma Nasrallah conosce Clausewitz meglio degli israeliani, dopotutto.
E' l'islamico post-moderno.

Maurizio Blondet


Note
1) «Hezbollah: we don't have Shia agenda», Asian Age, 16 agosto 2006.
2) Bernard Guetta, «Nelle strade di Gerusalemme: 'Abbiamo perso!?'», La Repubblica, 18 agosto 2006. Gli israeliani hanno «vinto», ma mettono sotto accusa Olmert e i generali: non è un sintomo di vittoria.
3) Pierre Prier, «Les chrètiens de Syrie applaudissent les Hezbollah», Figaro, 7 agosto 2006.

Copyright © - EFFEDIEFFE - all rights reserved.