30.9.06

Eutanasia per Mammona
Maurizio Blondet
26/09/2006
Maurizio Blondet

Ai lettori che chiedono il mio parere sull'eutanasia: pietà, esentatemi!
Non basta la disgustosa evidenza?
Una sceneggiata allestita dalla «zona grigia massonica» - i radicali e il loro caso pietoso, subito raccolto da Napolitano - è diventata il cavallo su cui sono saltati i partitanti.
«Il mio regno per un cavallo!», grida il re-criminale di Shakespeare.
Questi l'hanno avuto.
Ora lo cavalcano, il cavallo della morte amministrata: per distrarci mentre loro, Polo e Ulivo, cosiddetta destra e sedicente sinistra, bruciano nel camino in fretta le carte, ossia le intercettazioni Telecom che quasi certamente li inchiodano, e li travolgerebbero se rese note.
Un bel trucco mediatico.
Eutanasia è anche la sola «cosa di sinistra» che la gauche al potere può proporre.
In economia, non possono proporre altro che la «competitività-flessibilità» della globalizzazione liberista, il pensiero unico elaborato dai signori del profitto.
Fateci caso, accade sempre così: quando deve in qualche modo salvarsi, la ricca casta che vive «di» politica anziché «per» la politica, che fa?
Vilipende la pietas dei credenti.
Siamo il loro punching-ball.
I credenti sono ormai pochi, l'applauso è assicurato.
Dico noi credenti, non tanto la Chiesa: quella italiana sa e accetta la sua funzione di sacco da pugni, è per questo che prende l'8 per mille, è questa la «funzione pubblica» che le lasciano svolgere.
Probabilmente in buona fede burocratica, è la Chiesa italiana che è caduta nella trappola della «legalità».
Essa stessa chiede di «legalizzare», sperando di porre così limiti legali al peccato.
Meglio l'aborto, dice, del «Far West».
Invece, il Far West è meglio, se si tratta di legalizzare il delitto.


Ci sono cose che si fanno - si sono sempre fatte - ma che è meglio restino vietate e clandestine.
Una è la tortura.
In Algeria, i militari francesi la praticarono e nel suo modo sinistro «funzionò»; ma se ne assunsero la responsabilità davanti alla corte marziale, la spiegarono - avessero avuto torto o ragione - come un mezzo estremo per la salvezza della patria, perchè l'Algeria era patria, territorio metropolitano, che avevano giurato di difendere.
La giustificazione aveva il senso del tragico, nel senso proprio della tragedia greca: lo scontro fra due valori supremi, inconciliabili, in cui l'uomo all'altezza della tragedia espone sé stesso, rischia la sua vita, violandone uno per obbedire all'altro.
Ma la legalizzazione della tortura - come vuole adesso Bush - abolisce la tragedia e la sostituisce con la procedura burocratica, il mostro freddo.
Una volta legalizzata, la tortura diventa routine: da caso eccezionale e rischioso, diventa uno dei mezzi a disposizione del giudice ordinario.
E i giudici la useranno contro i cittadini normali: fa risparmiare faticose indagini.
Già i procuratori italiani hanno mostrato questa tendenza, con la carcerazione preventiva per estrarre confessioni.
Figurarsi se non approfitterebbero di uno strumento legale così utile.
La legalizzazione come routine la conosciamo: basta vedere l'aborto, diventato, da tragedia e vergogna, mezzo di contraccezione usuale.
L'eutanasia è una delle cose che non vanno legalizzate.
Anche perché nessun giurista potrebbe stabilire, e mettere nel codice, il momento esatto in cui la vita del malato degrada a china di morte, la cura diventa accanimento terapeutico, la morte lasciata accelerata, da crimine, pietà.
E' meglio che lo faccia il medico - come i medici hanno sempre fatto - in piena coscienza della sua tragedia: a lui la responsabilità di stabilire quanto la dose di morfina sia un palliativo e quanto il veleno pietoso.
Sapendo che la sua faciloneria o incuria può essere chiamata in giudizio, e definita omicidio.


Perché gli sia chiaro, al medico, che non va appiattito il momento supremo dell'agonia, quel passaggio indefinibile in cui ciascuno di noi si trova davanti al suo Dio, o alla sua verità. Dovrebbe svilupparsi una terapia dell'agonia che mirasse all'altra, definitiva «guarigione».
Una scienza trascurata.
Chi non darebbe la morfina a un agonizzante terminale?
Io stesso la chiederei.
Però mi trattiene il fatto che i tibetani, nel loro Bardo Thodol, incitano il morente a non addormentarsi, a sostenere da sveglio quel «bivio».
Non mi si rimproveri, prego, di pescare ecletticamente a una religione altra (e magari «falsa»): qui, il buddhismo va considerato una sapienza naturale.
I monaci tibetani parlano di un limite estremo che hanno esplorato, è la loro scienza.
Essi dicono, scientificamente a modo loro, che è ancora possibile fare qualcosa - e infiniti testi medievali, concordi, erano manuali di «apparecchio alla buona morte», i nostri «libri dei morti».
Il medico dovrebbe fare un ultimo gesto terapeutico, invitare il morente ad abbandonare i pesi che possono gravarlo nel «giudizio»: gli odii, le invidie; a chiedere e dare perdono.
A rinunciare una volta per tutte, anche al corpo.
La legalizzazione mira a sottrarci l'ultima occasione spirituale.
E mira a rendere la morte accelerata una procedura normale.
Chi la chiede, in fondo?
All'estero, le assicurazioni private, uno dei più potenti motori finanziari della Massoneria (ricordiamo le nostre Generali, fondate dai Morpurgo).
Da noi l'INPS: gli economisti previdenziali già lamentano: un tempo, un pensionato viveva cinque anni dopo il termine del lavoro e poi moriva, con gran sollievo della casse.
Oggi, disdetta, il pensionato sopravvive vent'anni.
L'esborso è eccessivo, la situazione «va corretta».


Si può correggere in due modi: tagliare le pensioni (impopolare) o tagliare la vita dei vecchi. Nel clima di diritto evolutivo dominante, è facile vedere che la legge «pietosa» per casi estremi sarà allargata via via a furor di popolo: liberateci del nonno, costa troppo!
Non possiamo consumare, andare in vacanza alle Mauritius, comprare il nuovo telefonino!
Il nonno 84enne è sano?
Senectus ipsa morbus est, diceva Cicerone.
I vecchi medici condotti dicevano: il geronte è una statua di sabbia.
Sembra sano, ma basta un raffreddore a ridurlo in polvere.
Non mancherà mai motivo per accelerare le «sofferenze» del vecchietto in casa di riposo: la pietà praticata col pensiero al telefonino.
La pietà di Mammona, il dio del mondo globale-capitalista e finanziario.
Il potere mondiale dei bottegai e degli usurai fa di tutti noi degli strumenti, della produzione o del consumo: da eliminare quando diventano, da profitto, un costo.
L'orrore è che noi ci stiamo, ci lasciamo amministrare come un gregge, e considerare il loro allevamento zoologico da tosare: così tributando, noi per primi, la nostra fede a Mammona, e alle sue leggi indiscutibili.

E poiché siamo in argomento - Mammona - rispondo a quei lettori che mi chiedono cosa rispondo a uno che polemizza con me su internet, quell'Attivissimo spesso citato da Mentana come l'ultima istanza della verità ufficiale sull'11 settembre.
Anche qui, pietà.
Da cinque anni, questo personaggio vuol dimostrare ancora, con leggi della fisica, della chimica e della dinamica, che è normale che due grattacieli a gabbia d'acciaio, colpiti lateralmente, cadano verticalmente.
O che un aereo da 60 tonnellate penetri nel Pentagono e si volatilizzi, senza danneggiare il prato antistante.
Ognuno è libero di seguire i suoi hobby: chi dipinge per hobby, fa di solito quadri ridicoli, ma non è umano farglielo notare.


Io, nei miei libri, non ho mai parlato dei fatti «tecnici», non mi sono mai chiesto se sul Pentagono fu lanciato un aereo o un razzo.
Invece ho esposto i propositi politici che spiegano i moventi di quel falso attentato, che lo prevedono e lo promuovono: la dottrina Wolfowitz sul riarmo, l'auspicio di «una nuova Pearl Harbor» in un documento ufficiale del 2000, le esercitazioni in corso quel giorno, il comando di tali esercitazioni passato dal Norad, cui spettava, a Dick Cheney: qui, la fisica e la chimica non c'entrano nulla.
Non si può smentire con la fisica il fatto che Osama era un agente CIA, e che l'agente pagatore di Mohamed Atta, il generale pakistano Mahamoud dell'ISI, si trovava a Washington quel giorno e, invece di essere arrestato (una settimana prima aveva inviato ad Atta 100 mila dollari) era a pranzo dal capo in carica della CIA e dal futuro capo della CIA.
Né c'entra la statica con il proposito di aggredire l'Iraq e l'Afghanistan, manifestato da quei signori prima dell'11 settembre: c'entra con la volontà di far male, che cerca pretesti e li crea, avendone il potere.
Segua pure il suo hobby Attivissimo.
La sola cosa che mi offende, e a cui rispondo, è che - dicono i lettori - egli parli di me come uno che sostiene la tesi dell'auto-attentato «per far soldi con i suoi libri».
Coi miei libri, cari lettori, anche per gli argomenti trattati, è improbabile fare soldi, diventare ricchi.
Vivo della mia pensione, da quando sono stato licenziato (unico nella storia del giornale «cattolico»).
Una pensione non male, sui 30 mila euro l'anno.
Molti, oggi, guadagnano meno.
Vivo in un bilocale e ho un'auto di seconda mano.


Per riguardo ai più poveri di me, non mi lamento, se non per il fatto che la mia personale forza finanziaria non mi consente di affrontare i rischi tipici del giornalista: le querele per diffamazione o calunnia, e le controquerele che dovrei mandare ai miei diffamatori.
Fra parentesi, è questo il motivo per cui non mi occupo di cose italiane, di Telecom e di Prodi.
In Italia, è accaduto che un giornalista sia stato condannato per diffamazione per aver chiamato «boiardo di Stato» un…boiardo di Stato.
Quello s'è sentito offeso, e un giudice gli ha dato ragione.
Non c'è difesa in Italia, per chi voglia dire la verità, e non abbia milioni per gli avvocati.
Così, non mando querele ad Attivissimo per la sua insinuazione.
Faccio notare ai lettori che, io, quando pubblico una notizia insolita, contraria alla «informazione dominante», cito la fonte.
L'Attivissimo che mi dice arricchito dai miei libri, cita una fonte che lo provi?
Forse Tavaroli gli ha fornito i dati del mio conto in banca?
Non credo.
La sua è, come tutte, un'illazione. Senza fondamento.
Certo è difficile ai lettori capire il valore della povertà deliberatamente accettata; la Chiesa non ne parla più.
Ma rivendico per me questo: io dalle mie scelte sono stato reso povero, mentre altri dalle loro, sono stati resi ricchi.
La mia, come ho detto, è una povertà relativa.
Ma fra i quattro invitati di Matrix ero certo il più povero.
I due europarlamamentari percepiscono in un mese e mezzo il mio reddito annuale.
Mentana, quanto varrà?
Mi par di ricordare, 500 mila euro annui: sedici anni del mio reddito.


Lo yacht di D'Alema vale 30 anni della mia pensione.
Bruno Vespa - l'ho saputo da fonte certa che non posso citare, ma non è un'illazione - gode di una pensione da 700 mila euro annuali, a cui si aggiungono gli emolumenti miliardari per la sua rubrica. E Magdi Allam?
Anche lui guadagna in un mese la mia pensione di un anno.
Ciampi, in un anno percepisce trent'anni e passa della mia pensione, non disprezzabile, frutto di 37 anni di lavoro e contributi.
Da ultimo poi, proprio per le mie prese di posizione sull'11 settembre, mi sono trovato contro cattolici che credevo amici.
Uno ha impedito a un autore di citarmi nelle note, come aveva avuto la bontà di fare, minacciando altrimenti di non far uscire i libri (ha un potere di questo genere sulla casa editrice: rendere Blondet una non-persona).
Un altro, scrittore famoso, ha preso le distanze non da oggi; evidentemente non vuole compromettersi con un condannato dalla psico-polizia.
Non gliene voglio.
Non ne voglio a nessuno.
Solo, faccio notare ai lettori che una cosa unisce questi personaggi: sono ricchissimi.
Miliardari.
E' questa causa della loro debolezza in un caso, o l'odio attivo che li anima nell'altro: Mammona. Chi dalle sue scelte è stato reso ricco, non dirà la verità fino al punto di diventare povero.
Specie di questi tempi, quando a ciascuno di noi viene messo quel segno, senza il quale «non si può vendere né comprare», è questo il discrimine.
Non si possono servire due padroni.
Il che vale (e chiudo) anche per David Icke.

Mi chiedono troppi lettori eccitati: ha letto Icke?
Dice le cose che dice lei.
No, non proprio: Icke prende qua e là da tutta la letteratura complottistica, a cominciare dai Protocolli dei Savi di Sion, e attribuisce il grande complotto ai «rettiliani».
Liberi i lettori di credere ai rettiliani, ma non mi chiedano il mio parere: è offensivo, come chiedere a un archeologo epigrafista, che si sforza di documentare ogni sua asserzione, cosa pensa del Segreto della Piramide, o se ha trovato le prove che Cheope era un extraterrestre.
Per me il lavoro di Icke entra nelle procedure, ben note ai servizi segreti, della manipolazione-screditamento: si tratta di screditare argomenti seri fingendo di promuoverli, ma mandando tutto in vacca aggiungendo qua e là un particolare demente.
Posso sbagliare, naturalmente.
Magari il personaggio è persino in buona fede.
Solo, vorrei notare due cose: nessuno ha mai chiesto di «far tacere» Icke, che pure prende per veri i «Protocolli dei Savi di Sion»; mentre tutti i giornali italiani, e diversi parlamentari (da Taradsh a Bondi), hanno imposto, gridato, urlato che bisogna chiudere la bocca a Blondet, che deve tacere, che deve essere bandito da tutti i media.
L'agente Betulla è stato difeso dal suo direttore; io, da nessuno.
L'altro dettaglio è che i libri di Icke si vendono molto, ma molto più dei miei.
Che rendono benissimo, che sono best-seller.
C'è qui un mistero non troppo oscuro: «Ai più piace il brutto», disse Sant'Agostino.
E ai «più», alla massa, a cui il brutto piace per natura più del bello, anche il falso piace più del vero, la finzione raffazzonata più della ricerca seriamente documentata.
Chissà perché.
Probabilmente, un miracolo di Mammona, il dio che ci possiede tutti.

Maurizio Blondet


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26.9.06

26 settembre 2006

La valigia del Duce

Poche tra le biografie ufficiali parlano della prima moglie di Albert Einstein, Mileva Maric, scienziata serba dalla forte personalità e dalla generosa indole, che la hanno spinta a sacrificare la sua vita e la sua intera carriera per amore della sua famiglia.Mileva nacque da una famiglia serba e benestante che le consentì di coltivare i suoi studi di scienza sino all'università. In quegli anni conobbe Nikola Tesla, che le presentò un suo collega, un fisico, Albert Eistein, che intraprese i suoi studi presso il Politecnico Federale svizzero, nello stesso periodo della Maric che era stata ammessa come unico studente donna. Si innamorarono, e cominciarono a frequentarsi, e la loro passione è testimoniata dalla corrispondenza privata di Eistein, la sola fonte di prova dell'esistenza della Maric in quanto gran parte dei documenti che la coinvolgevano sono stati distrutti.
Il loro amore "moderno" venne a lungo ostacolato dalla famiglia Eistein che vedevano in lei una donna troppo intelligente, indipendente, e non ebrea: il suo carattere avrebbe sicuramente oscurato quello del genio di Eistein. Nonostante questo, lei ha sempre difeso e sostenuto Albert, sostenendolo e finanziandolo mentre era ancora un giovane emergente: è pronta a sacrificare la sua carriera e i suoi studi quando all'improvviso scopre di essere incinta. La sua bambina, Liersel, le viene portata via, per nascondere la vergogna di quel gesto, e lo stesso Albert non cercò mai sua figlia: le tracce di Liersel si sono perse nell'etere, e molti hanno ritenuto opportuna crederla morte in tenera età. La sua scomparsa è stato un grande trauma, un grave giallo che ha segnato la vita della Maric e forse ha deviato gli eventi della storia dell'umanità. Lei diventa un disonore per la famiglia, un fallimento accademico, e madre di un bambino illegittimo, per cui decide di sottomettersi completamente al suo destino all'ombra di un uomo che doveva essere portato ai massimi livelli accademici.

Albert e Mileva si sposano in Municipio il 1903, e dal loro matrimonio sono nati non solo due bambini ma la straordinaria "teoria della Relatività", destinata a rinnegare le leggi della fisica classica e a portare sulla scena geopolitica una nuova fonte di energia. La relatività e l'energia nucleare non sarebbero state scoperte senza la base intuitiva di Mileva, che diede all'intera struttura teorica una sistematicità e una perfezione logica.
Recenti documenti hanno portato alla luce una diretta testimonianza della Maric, che dice ad un amico serbo, "abbiamo terminato un importante lavoro che farà mio marito il più famoso del mondo".
Le lettera private di Eistein Le lettera private di Eistein Le lettera private di Eistein
In molte lettere appartenenti alla corrispondenza privata di Einstein usano i pronomi "nostro" e "noi" in relazione a temi di fisica a cui lui stava lavorando mentre erano ancora studenti, per cui non ci sono dubbi che la coppia stava lavorando insieme su qualche argomento.


Una testimonianza autorevole di questa disputa fu del fisico sovietico, Abraham Joffe, un membro rispettato dell'Accademia sovietica che aveva accesso ai manoscritti originali del 1905. Joffe allora testimoniò di aver visto i documenti dello sviluppo della teoria della Relatività firmati con il nome Eistein-Marity.
La questione è stata a lungo discussa, in quanto la storia tramandata nega l'esistenza di questa firma attribuendo ad Einstein la totale paternità, ma il ritrovamento di alcuni documenti dimostrerebbe che loro siano stati coautori, o persino che l'unico vero autore sia Eistein-Marity, ossia Mileva che dopo il matrimonio aveva assunto il cognome del consorte accanto al suo, tradotto dal diritto svizzero come Marity. L'interrogativo sollevato è proprio questo: come poteva sapere Joffe che Mileva Maric prese il nome di Einstein-Marity, se il nome non fosse apparso sulle carte del 1905? Certificato di Morte MilevaDiversamente non poteva saperlo, perché Albert non la citava mai nelle sue lettere in questi termini, né esiste un costume svizzero che aggiunge automaticamente il nome di fanciulla di sua moglie a quello del marito; solo la donna usava accostare il cognome da nubile a quello del marito, e tra l'altro il certificato di morte e di Mileva cita esplicitamente "Einstein-Marity."
Perché la Commissione Nobel non diede il Premio ad Einstein per il suo lavoro su teoria di relatività? Forse perché lui non era il vero autore della teoria, e per nascondere questo deliberato furto, raggirarono la questione. Probabilmente Albert comprò il silenzio di Mileva, infatti lei concesse il divorzio per consentire il secondo matrimonio con Elsa solo a condizione che le avesse dato i soldi del premio che avrebbe percepito per le sue scoperte.

"Noi uomini siamo creature deplorabili, dipendenti. Ma comparati con queste donne, ognuno di noi è un re, si sostiene da solo su due piedi, mentre non aspetta fuori di lui continuamente qualche cosa a cui aggrapparsi. Loro aspettano sempre comunque, qualcuno da usare e manipolarlo per il loro adattamento. Se non accade questo, loro cadono semplicemente a pezzi."

Le prove portano sicuramente a dubitare del grande genio di Eistein, e molto probabilmente si può parlare di vero e proprio furto delle idee della Maric, più che di una collaborazione nascosta. Eistein era sicuramente in malafede perché acconsentì subito il trasferimento dei soldi alla Maric, con la stessa facilità con cui più volte denigrava sua moglie, definendola una "sua serva", a cui si rivolgeva sempre con indifferenza.
Mileva aveva dunque dato la sua vita per amore, credeva nella scienza e della nobiltà del suo utilizzo, ed era assolutamente contraria ai macabri sviluppi che Eistein stava portando avanti per compiacere i potenti che in quegli anni si preparavano alla seconda guerra mondiale. Chi ha portato Eistein in auge, sono gli stessi che hanno utilizzato l'antisemitismo per portare le nazioni alla guerra, gli stessi che finanziavano il piano di Hitler e nel frattempo agivano politicamente accanto ad America e Inghilterra.
Chi orchestrava la nascita dello Stato di Israele e la sua contemporanea distruzione, chi gestiva l'antisemismo e la resistenza, era la potente "Associazione dei trecento", creata nel 1729 dal BEIMC, British East India Merchant Company, per occuparsi degli affari bancari e commerciali internazionali, e conta i rappresentanti più importanti delle nazioni occidentali. I suoi fondatori erano i proprietari delle Compagnie delle Indie, delle flotte a carbone, una potente loggia dell'industria mineraria e commerciale del Benelux. Tra i componenti ricordiamo J. P.Morgan che fondò la Generale Electric Company, e una volta entrato in possesso del sapere di Tesla costruì un intero impero sulla scienza occultata.
Così mentre i Trecento finanziavano e perfezionare il nucleare, in Italia qualcosa di diversa si stava muovendo, qualcosa di così importante da far paura lo stesso Hitler e spingerlo a chiedere un'alleanza di non belligeranza a Mussolini. Il grande segreto di Mussolini era la scienza che era riuscito a sottrarre a Tesla grazie all'infiltrazione elegante di Marconi nel suo laboratorio di ricerca. Tra il 1882 e il 1888, Tesla brevettò dei dispositivi che utilizzavano dei campi magnetici per trasmettere l'elettricità a corrente alternata, la bobina Tesla, e poi il "radio telegrafo", come sistema di trasmissione dell'energia senza fili, ossia il wireless. Questo sistema non ha un limite di quantità e di distanza nella trasmissione di energia per via dell'obliquità dell'atmosfera, come invece affermava la teoria della relatività. La perversione della mente umana vide a quel punto il terribile utilizzo che si poteva fare di una fonte di energia così potente da poter riprodurre l'energia di un fulmine. L'Italia tenne allora ben stretti quei progetti perché sicuramente su di essi poteva costruire il segreto su quella tecnologia.

La Seconda Guerra Mondiale è stata la guerra dell'Energia, vedendo nazioni e grandi colossi nazionali scontrarsi tra di loro per decretare il prevalere dell'una o dell'altro fonte di energia: la storia dimostra che Mussolini perse la sua guerra, e il nucleare è entrato nella nostra vita come soluzione al fabbisogno energetico. Nessuno capì allora, e nessuno capirà oggi la grande opportunità che l'Italia perse, oggi come allora, per conquistare la sua indipendenza.
Il suo vero obiettivo era di assicurarsi il controllo della futura elettrificazione dell'America, prima, e del resto del mondo dopo, e per far questo occorre impiantare dei sistemi che finanziano prima i suoi concorrenti, per rendendo il prezzo del cambiamento del sistema energetico proibitivo.

La guerra del futuro sarà ancora questo, ma a tutti sembrerà la guerra delle religioni, lo scontro di civiltà, alimentato solo per camuffare il vero piano, che è sempre quello di Hitler, ora in mano alle Banche mondializzate.
Nel nostro futuro le strade e le rotte aeree smetteranno semplicemente di esistere, così come la costruzione dei ponti, dei palazzi, ecc. Il trasposto avverrà mediante l'annichilimento indotto del peso. Avremo un significativo progresso nella ricerca della crescita dei vegetali, delle tecniche terapeutiche, dei sistemi di riscaldamento senza combustibile, nuove fonti di energia per l'industria, una branca della chimica sarà totalmente nuova. Esiste infatti nell'etere una specie insospettata di onde elettriche identiche alle onde elettromagnetiche della radio. Sono onde elettrogravitazionali, prodotte ed emesse attraverso degli strati concentrici costituiti da materiali ad induzione elettromagnetica ed elettrostatica, senza nessuna perdita apparente di potenziale energetico.

La nuova energia è già esistente, e l'arma di Tesla viene esperimentata attualmente dai Russi, considerando che il Kgb ha assoldati ricercatori e scienziati proveniente da ogni parte del mondo che conoscessero la Teoria di Tesla. I nostri nemici oggi, ossia gli Stati in mano alle Banche, già da tempo stanno conducendo strani e pericolosi esperimenti sulle popolazioni, onde verificarne la portata distruttiva, soprattutto delle capacità intellettive. Si pensi ad esempio all'Iraq, è davvero sbalorditivo come abbiano spinto un intero popolo ad accettare l'invasione americana, e come abbiano dato l'impressione al popolo che il problema fosse dentro di no, invece specifiche armi fisico-chimiche hanno provocato una capitolazione improvvisa e massiccia.

Potremmo continuare delle ore per descrivere cosa stanno facendo alla nostra vita, ma siamo convinti che determinati aspetti non possono essere compresi perché il sistema ha chiuso loro la mente, con armi invisibili, ma esistenti che vanno al di là delle parole.


http://etleboro.blogspot.com

20.9.06

Osama e altre docu-fiction
Maurizio Blondet
19/09/2006

«Al Qaeda minaccia il Papa».
Tutti i giornali italiani hanno lo stesso titolo cubitale, e la stessa certezza: è proprio «Al Qaeda» che minaccia Roma e il Papa.
Anche se il proclama è apparso su un blog della Google, anonimo e in lingua inglese, ospitato da un server USA. (1)
Un complottismo ufficiale massiccio e corale, una voluttà di paranoia, di alimentare odio e paura irrazionale.
Tutti arruolati volontari nella maligna «guerra della percezione», che è la vera guerra in corso.
Dietro questa nube psichica, sarà probabilmente inutile ricordare le realtà di fatto.
Ma ci proviamo, instancabili.


Va ricordato dov’era Osama bin Laden l’11 settembre 2001, il giorno del mega-attentato che ha ottenebrato l’Occidente.
Era a Rawalpindi, città di 1,5 milioni di abitanti, in un ospedale militare pakistano, per sottoporsi a dialisi.
E non lo raccontò un complottista.
Lo spiegò Dan Rather, l’anchorman della catena televisiva CBS, il 28 gennaio 2002. (2)
Quella sera, Dan Rather annunciò lo «scoop esclusivo», e diede subito la parola all’inviato Barry Petersen, che era in Pakistan.
«CBS News ha saputo che la notte prime dell’11 settembre, Osama bin Laden era in Pakistan. Stava ricevendo trattamento medico con l’assistenza di quello stesso apparato militare che qualche giorno dopo assicurò di sostenere gli USA nella guerra al terrorismo in Afghanistan».
Sul video appare l’ospedale militare di Rawalpindi, poi un’infermiera di spalle.
«Questa dipendente sanitaria, la cui identità deve essere protetta, dice che quella notte tutto il normale personale del reparto urologia è stato mandato via, e sostituito da un gruppo segreto. Dice che c’era da curare una persona molto speciale».


Appare un altro interlocutore, col volto coperto: «I militari lo circondavano, dice questo impiegato dell’ospedale che, anch’egli, non vuole essere riconosciuto: ‘Ho visto il paziente misterioso mentre scendeva, sorretto, da un’auto. In seguito ho visto molte immagini di quest’uomo: è colui che conosciamo come Osama bin Laden. Ho sentito due ufficiali che, parlando fra loro, dicevano che Osama bin Laden andava curato e sorvegliato attentamente».
Seguiva una spiegazione delle «numerose malattie» del capo terrorista, «problemi gastrici e della spina dorsale» oltre alla grave insufficienza renale.
Petersen: «I medici dell’ospedale negano che quella sera [il 10 settembre] sia avvenuto qualcosa di speciale, ma rifiutano di farci vedere, come abbiamo chiesto, i registri di ricovero. Il governo ha smentito che bin Laden abbia ricevuto cure ospedaliere quella notte».
Voce fuori campo: «Il presidente pakistano Musharraf ha dichiarato che bin Laden soffre di affezioni renali, e che secondo lui è moribondo. Il più recente video mostra un bin Laden pallido e debole, che non muove il braccio sinistro».
Poi l’immagine del ministro Donald Rumsfeld mentre dice: «Per quanto riguarda la salute di Osama bin Laden non ne ho alcuna conoscenza».
Petersen, ironico: «Gli Stati Uniti non hanno modo di sapere chi, nell’apparato militare o di spionaggio pakistano, aiutava bin Laden anche la notte prima dell’11 settembre, fornendogli la dialisi per tenerlo vivo. Dunque gli Stati Uniti non sanno se queste stesse persone non lo stiano aiutando a restare libero».
Cinque anni sono passati da questo scoop.


L’ultima illazione su dove si trovi Bin Laden è apparsa, il 9 settembre 2006, su un giornale australiano, lo Hobart Mercury: «La maggior parte degli analisti d’intelligence sono certi che Osama si nasconda da qualche parte al confine tra Afghanistan e il Pakistan. Negli ultimi tempi è stato detto che egli si trova probabilmente nell’Hindu Kush, nell’area tribale di Chitral, sotto il monte Tirich Mir, alto 7.700 metri…».
Un alpinista estremo: niente male per un malato grave, bisognoso di dialisi settimanale.
O forse nel Waziristan ha ricevuto un trapianto ed ora scoppia di salute.
Che la fonte di questa «notizia» sia la cosiddetta intelligence americana non c’è dubbio.
Il Balochistan Times, il 23 aprile 2006, ha citato una frase di Bush sulla difficoltà di catturare Osama.
Il nemico, ha detto il presidente, «si trova in un’area estremamente montuosa e assolutamente inaccessibile, con montagne altre da 3 a 4 mila metri».
E non ci sono «infrastrutture di comunicazione in grado di rintracciarlo» (sic).
Non è opportuno ricordare - e infatti i media se ne guardano bene - che Bush fu vicinissimo a catturare Osama nel novembre 2001, a Tora Bora, dopo che i B-52 avevano bombardato a tappeto la zona definita «l’ultima ridotta di Osama»; un commando americano aspettava solo l’ordine. L’ordine non venne.
Oggi, invece, nel quinto anniversario, uno speciale della ABC dal titolo «The path to 9/11» («verso l’11 settembre»), ha dimostrato, diciamo così, che fu Clinton a lasciar scappare l’arcinemico: «troppo occupato con la scandalo Levinsky per combattere il terrorismo».
Questo speciale è stato confezionato con spezzoni autentici e sequenze inventate, da telenovela: il nuovo genere della docu-fiction, «finzione-documentazione».
La docu-fiction è l’arma segreta della guerra di percezione in corso.


Per il quinto anniversario, vari film sono stati preparati per confermare psichicamente la versione ufficiale pericolante, dal film di Oliver Stone sui pompieri delle Twin Towers a «United 93», che ha ricostruito fantasticamente «l’eroica resistenza» dei passeggeri contro i terroristi (armati di taglierino).
Non hanno successo di botteghino, ma non importa: servono a «passare» a spezzoni sul piccolo schermo, come sfondo delle ricostruzioni e dibattiti sull’11 settembre.
E’ successo a Matrix, succederà ancora: è il mezzo per «saturare psichicamente», con immagini «vere» e false, il pubblico che fosse tentato di dubitare della «verità».
Lo scoop della CBS del 28 gennaio 2002 viene così cancellato dalle memorie corte.
Quella scoperta giornalistica risale a un tempo in cui ancora il giornalismo poteva cercare in modo autonomo i fatti, e in cui la docu-fiction non aveva del tutto chiuso ogni spiraglio.
Quel tempo è finito.
Nel convegno alternativo sull’11 settembre a Bologna, Giulietto Chiesa ha riferito a questo proposito di un episodio agghiacciante. (3)
Il parlamentare europeo ha raccontato come, pochi giorni prima, fosse stato invitato dalla commissione Difesa della UE ad assistere - così era letteralmente scritto sull’invito - al «filmato che simula un attacco nucleare terroristico su Bruxelles».
Un vero e proprio film, ha detto Chiesa, costruito come un reportage «dal vivo».
Completo di tutto: le facce note della CNN che annunciavano l’orribile attacco sulla capitale eurocratica, la notizia ripetuta da Al Jazeera e da tutti i network, le reazioni internazionali con l’apparizione dei veri capi politici di oggi, le affannate tavole rotonde con «esperti» reali…intanto, minuto per minuto, andavano immagini satellitari che mostravano lo spostarsi della nube radioattiva, portata inesorabilmente dal vento ad espandersi sull’Europa del nord.


Non mancava nemmeno la rivendicazione: il «vero» Osama bin Laden rivendicava il lancio dell’atomica in arabo, con sottotitoli in inglese, nel solito video «fatto recapitare ad Al Jazeera».
Sbalordito, Chiesa ha chiesto «chi» avesse pagato per una simile produzione video, evidentemente costosa.
Era stata fatta coi soldi dei contribuenti?
No, è stata la tranquillizzante risposta: si è trattato di un «regalo».
Offerto dal CSIS, il Center for Strategic and International Studies di Washington, un think-tank correntemente ritenuto emanazione della CIA.
Un «regalo» del tutto equivalente a una testa di cane troncata, quale la mafia suole recapitare alle sue vittime designate.
Una minaccia.


Vale la pena di analizzare il messaggio contenuto in quel regalo del CSIS all’Europa.
Esso dice tre cose:
1 - Possiamo farvi questo - tirare una bomba atomica su Bruxelles - e abbiamo i mezzi per addossarne la colpa ad «Al Qaeda».
2 - Di più: possiamo convincere la vostra popolazione che è stato Osama, e non noi.
3 - Come vedete, abbiamo già preparato gli spezzoni della «atroce realtà» che i vostri telegiornali manderanno in onda se e quando la cosa avverrà, come materiale autentico, giornalismo puro, pura documentazione. Chi dubiterà del video di Osama?
Può avvenire davvero, se l’Europa continua a resistere a partecipare alla «long war».
Come dice Israel Singer, «non crediate di essere immuni» dal terrorismo.
Questa è la nuova realtà in cui siamo entrati.
E’ in corso una guerra vera e spaventosa, in Afghanistan, Iraq e Libano (e presto in Iran e Siria) con autentiche bombe e vere distruzioni e stragi.
Ed è in atto una «guerre della percezione», in Occidente.
Le bombe vere sono per gli islamici.
Ma il bombardamento psichico è diretto contro voi e noi, i loro nemici più temuti.
La guerra è contro di noi, e il nemico vero è il nostro principale alleato.
Armato di immagini digitali, che possono essere mescolate e fatte apparire vere. (4)


Ma non basta.
Il nemico strategico, quello che compie gli attentati false flag contro di noi per poter continuare a bombardare gli altri, ha un alleato primario: non solo i direttori dei media che volontariamente, con mezza-coscienza, diffondono la docu-fiction come fosse vera; ma soprattutto il pubblico occidentale, con la sua enorme, invincibile ignoranza e passività.
E’ questo pubblico che beve tutto, perché non si occupa di nulla.
Questo pubblico convinto al 30 %, come ha rivelato un sondaggio inglese, che il nome dell’attuale governatore della California sia Conan il Barbaro: il pubblico incapace di distinguere tra giornalismo e fiction.
Su questo colossale ignorante collettivo si basano i malvagi; da esso traggono la loro forza.
«Libero» dedica al sottoscritto una colonna: «Blondet cittadino onorario di Eurabia».
Presto, vedrete, arriverà la prova: Blondet o Chiesa che stringono la mano al «vero» Osama bin Laden, lassù sull’Hindu Kush ; miracolo che l’elettronica digitale rende possibile, e di cui l’agente Betulla è in posizione di ottenere l’esclusiva.
Perché questo, in fondo, è il movente vero che induce tanti «giornalisti» ad arruolarsi volontari nel sistema della menzogna: l’opportunità, con la scusa legittimante di battere il terrorismo, di colpire i colleghi, di prendersi delle piccole, meschine, vendette interne, di nuocere ed insultare i conoscenti.
Di fare una piccola ripugnante guerra civile nella tragedia globale, come quei «partigiani»
Che, durante la resistenza, approfittarono per ammazzare il vicino di casa invidiato, derubarlo, violarne la moglie.


E’ questa bava d’odio che spiega tutto: anche la volontà evidente di credere alla menzogna incredibile.
Un «filosofo cattolico», di cui abbiamo commesso l’errore in passato di pubblicare qualche articolo credendolo ancora filosofo e cattolico, ha mandato all’editore una mail che plaude al Papa e al suo infortunio con questa motivazione: «Ha finalmente detto la verità sulla merda Maometto».
Uno schizzo di merda.
Un rigurgito acido di bile pura, gratuita.
E se così «pensa» un «filosofo», è inutile lottare per la verità.
Oggi, si è «cattolici» per poter odiare i musulmani meglio, sull’esempio della cristiana Fallaci, che si è fatta seppellire in terra sconsacrata.
Non vi è alcuna fede.
E’ il bisogno collettivo di odiare, di nuocere, che finalmente può liberarsi, che con la scusa della cristianità in pericolo ha trovato il bersaglio.
Su Avvenire, appare un fondo, che difende il diritto del Papa a dire quel che ha detto sull’Islam (e che il Papa nega di aver detto con intenzione di odio).
L’ho conosciuto questo il firmatario; brava persona.
Ai tempi dell’invasione USA all’Iraq, ci comunicò che aveva portato via la famiglia da Roma, temendo una pioggia degli Scud di Saddam: ignaro, in buona fede, che la gittata di quei vecchi missili è di 300 chilometri, e non certo intercontinentale.
Come lui sono tanti.
Pronti a credere alla docu-fiction, se un giorno «Osama» lancerà una bomba atomica su Bruxelles. La guerra della percezione li trova già pronti: nella parte di vittime e di collaboratori insieme.


Nessuno si chiederà perchè mai, a quale scopo strategico, Al Qaeda dovrebbe sprecare un’atomica (non deve averne tante) su una capitale europea, anziché sugli USA o Israele: e non se lo chiederà: perché tutti, in fondo, «vogliono» crederci.
La docu-fiction ha la sua grande giornata; ma senza l’odio e la meschinità omicida dei piccoli non avrebbe tanta forza.
Il Papa farebbe bene a pensare su questo fenomeno, assai più pericoloso dell’Islam.
Ma cosa sa il Vaticano della modernità e dei suoi trucchi?
Ha mandato via Navarro Valls e l’ha sostituito con un gesuita, definito giornalista in quanto direttore di una rivista bimestrale; ma Al Jazeera diffondeva le parole papali in ogni angolo dell’Islam già dopo cinque minuti.
Quanto al segretario di Stato che s’è scelto, Tarcisio Bertone, è una brava persona: che a quanto pare non conosce alcuna lingua, e la cui vera passione sono le partite di calcio, che commentava da «giornalista» sul giornale della CEI.
C’è da stupirsi che il Papa sia stato involontario strumento della «guerra di percezione» totale in corso, subito usato e manipolato?
E’ la vecchia storia dei buoni: candidi come colombe, e incapaci di essere accorti come serpenti.
O ancor più, questa: che l’Anticristo «farà prodigi tali da sedurre, se possibile, perfino gli eletti».
Questa profezia si è avverata sotto i nostri occhi.

Maurizio Blondet


Note
1)
Il blog, come segnala Miguel Martinez sul suo sito (kelebek. splinder.com), è ospitato su Blogspot che ha il seguente «registrant»: Google Inc. (DOM-345046) 1600 Amphitheatre Parkway Mountain View CA 94043 USA. Commenta Martinez: «il blog, pieno di affermazioni come ‘Shaykh Oussama Ben Laden may Allah protect him’ e improbabili rivendicazioni (solo nel comunicato di oggi, sostengono di aver ucciso più di diciassette americani in un solo attentato), sta felicemente sul server di Google. E quel server si trova in un Paese in cui il minimo sospetto di ‘terrorismo’ porta in luoghi segreti di detenzione senza processo. E che ha i migliori esperti di computer del mondo, in grado di scoprire la provenienza di qualunque ‘upload’ a un sito». Il blog non è che sta lì da ieri mattina. Sta lì da marzo, come si può vedere dagli archivi. Insomma, l’immenso apparato di sicurezza statunitense, che controlla anche i libri che la gente prende in prestito in biblioteca, ha avuto mezzo anno per scrivere quantomeno una rispettosa richiesta al signor Google perché tolga il blog. E invece niente. Questo improbabile blog, scritto - a differenza di quasi tutto il materiale jihadista - in lingua inglese, lancia le seguenti minacce alla nostra enologia, che citiamo in inglese per il divertimento dei nostri lettori: «We say to the cross worshiper [the Pope]: Both you and the Romans, be awaited for the defeat as you see what happens everyday in Iraq, Afghanistan and Shishan etc…, and we are waiting for victory, martyrdom, triumph, enabling and Caliphate (Islamic state) which judges by the law of Allah, then we will break the cross, shed the wine and we wont accept Giziya (Islam or Death), Allah will give Muslims the victory in their war against the Romans and their final capital Rome like his Prophet Mohammed - peace upon him - has promised in the right Hadith and as we were the victorious when we conquered Istanbul in the past». Ah, dicono pure che ci fregheranno i soldi e i bambini: «O Allah return their cunning on them, destroy them, enable us of their necks and make them with their money and children a booty for the Mujahedeen by your strength O the Almighty…». Come noto, dopo l’11 settembre Al Qaeda non ha più commesso alcun attentato sicuramente attribuibile a questa organizzazione; in compenso si è riconvertita in una casa di produzione di video di successo. E i suoi video vengono diffusi dalla IntelCenter, una ditta americana che è una filiale della Tempest Publishing Co. - la quale a sua volta produce manuali e DVD «educativi» sulle minacce terroristiche (chimico-biologiche-nucleari) per conto di clienti come la US Army, la Us air force, l’USAMRIID (il laboratorio militare da cui uscì il famoso antrace), e il Lawrence Livermore, il laboratorio da cui uscì la prima bomba atomica. Insomma un centro di pura propaganda, una fabbrica di «percezione».
2) Michel Chossudovsky, «Where was Osama on september 11, 2001?!», GlobalResearch, 9 settembre 2006.
3) Il convegno di Bologna, con illuminanti video di Massimo Mazzucco e la partecipazione di personalità americane che smentiscono la versione ufficiale sul’11 settembre, ha avuto 700 spettatori paganti: un successo senza precedenti in Italia. Nel corso del convegno si sono poste le basi - su richiesta dei relatori americani - per costituire una commissione di personalità europee indipendente, una sorta di Tribunale Russel, che esamini la questione 11 settembre e specialmente gli indizi a contrario fin qui raccolti.
4) Nel 1997 fu prodotto il film «Wag the Dog», in italiano «Sesso e Potere», con Robert De Niro e Dustin Hoffman: mostrava come per salvare il presidente da uno scandalo sessuale, il servizio segreto organizzava una guerra contro l’Albania. Guerra del tutto virtuale, prodotta con immagini digitali. La scena principale, infinitamente ripetuta dai network, mostrava una contadinella albanese che scappava dalla sua casa in fiamme abbracciando un tenero gattino. Il gattino veniva continuamente modificato elettronicamente: prima un soriano, poi bianco, poi maculato.


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7.9.06

Com’è andata a finire
Maurizio Blondet
07/09/2006

Le fiere dello Champagne erano già in declino verso il 1310.
«Il rallentamento degli affari toccò in primo luogo le merci», dice Braudel: «Le operazioni di credito si mantennero più a lungo».
Naturalmente: di solito il cancro vive ancora un poco divorando il corpo che ha già ucciso, è il suo trionfo. (1)
La crescita demografica s’arresta, poi s’inverte.
L’esito dell’affermazione del potere dei guelfi neri si può constatare nel pistoiese: da una densità di 60-65 persone per chilometro quadrato nel 1250, la zona passa a 50 nel 1340.
Certo, completeranno l’opera di spopolamento la guerra dei Cent’anni e, dal 1330, la peste nera - che viene dall’Oriente (2), quasi di sicuro portata dalle navi granarie dalla Crimea, maligno effetto collaterale di quella prima globalizzazione.
Ma colpisce organismi già indeboliti da carestie successive, che sono riapparse in Europa; una popolazione che s’era concentrata nelle città, fuggendo dalle campagne indebitate e torchiate dai tassi predatori.
Ed erano città dove le infrastrutture, trascurate, mettevano in pericolo la sanità pubblica anche in tempi normali.
La ricchissima Firenze, che aveva costruito nel ‘200 i bei ponti sull’Arno, nel ‘300, il secolo del suo splendore, non ne costruisce nemmeno uno nuovo.
Anche questo vediamo oggi: anche oggi la finanza vieta gli investimenti nelle strutture fisiche, perché rendono poco e tardi al capitale prestato.
Allora, la gente subì i rincari dei prezzi alimentari, il declino della produzione di base.
Ma soprattutto, l’economia reale cadde in ginocchio sotto il peso del debito contrattocon i banchieri.


E’ a questo punto che la storiografia autorizzata addita accusatrice Edoardo III d’Inghilterra, colpevole di aver provocato il più vasto crack della storia, ripudiando il debito contratto coi Bardi e coi Peruzzi, e causandone la bancarotta.
Ma a quanto ammontava quel debito regale?
I Bardi hanno iscritto nei loro libri un credito di 180 mila sterling, i Peruzzi 35 mila.
Sommati assieme, come noterà il Villani, equivalevano a 1.350.000 fiorini d’oro di Firenze: il valore di un regno.
Nessuna quantità di balle di lana sarebbe bastata; l’Inghilterra stessa avrebbe dovuto vendersi, per liberarsi dal debito.
Ma quel debito, dice ancora il Villani, comprendeva numerosi approvvigionamenti che il re aveva versato in passato.
Informazione istruttiva, rivelatrice.
Allude a un meccanismo che i Paesi indebitati e poveri d’oggi conoscono troppo bene.
Per quanto sudino a ripagare i ratei, a servire il debito rimborsando interessi e quote del capitale, la cifra a loro carico non cala.
Anzi cresce, fino ad essere impagabile.
Oggi è il Fondo Monetario, pignoratore delle banche creditrici, ad attuare il meccanismo.
Ai Paesi debitori, impone condizioni sempre più draconiane.
Impone riduzioni delle spese pubbliche essenziali: sanità, scuole, infrastrutture (i costi da tagliare). Impone svalutazioni della moneta nazionale, perché acquistino competitività (ossia il prezzo delle loro merci, sul mercato mondiale, si abbassi).
E concede prestiti-ponte, perché gli sventurati possano continuare a servire il debito.


Non un dollaro dei prestiti-ponte entra mai nel Paese cui è stato concesso: passa da un conto all’altro delle banche occidentali.
Ma intanto, da subito, decorrono gli interessi composti aggiuntivi.
Il capitale da restituire aumenta; alla fine, il Paese povero ha pagato cinque, dieci volte il suo debito iniziale, e deve ancora pagarlo.
Le ragioni della banca trionfano sulle ragioni della vita.
Secondo Lane, che ha esaminato i libri dei banchieri fiorentini, qualcosa di simile avvenne anche allora.
Il debito reale inglese ammontava, forse, a 15-20 mila sterling, non al decuplo preteso dai Bardi e dai Peruzzi.
Gli stessi banchieri lo sapevano, se nei loro documenti il grande debitore, il re, è chiamato con malcelato disprezzo «messire Eduardo»; e se uno di quei documenti, del 1339, dice in sostanza: ci andrebbe bene se riuscissimo a recuperare almeno una parte del debito.
Annotazione anch’essa rivelatrice.
Come oggi, il debito di uno Stato è in realtà una modesta colonna nei libri contabili delle banche.
E alle banche non interessa chiudere, liberare il debitore.
Non interessa nemmeno recuperare il capitale (che non è delle banche, ma dei risparmiatori e investitori).
Interessa solo tenere aperto il debito, e continuare a lucrare gli interessi.
All’infinito.
Con ogni mezzo.
Così, nel 1339, i creditori fiorentini imposero all’Inghilterra una svalutazione del 15% della sua moneta sul fiorino: misura da Fondo Monetario, intesa a comprare la lana inglese con un forte sconto.


Davanti alla perdita del 15 % sugli introiti della lana, re Edoardo tentò di battere un proprio fiorino.
Ma i banchieri internazionali boicottarono quella moneta nazionale.
Con le spalle al muro, Edoardo ricorse all’arma più odiata dalla finanza: il potere, anzi il dovere sovrano di affermare la vita della nazione, prima che i diritti della contabilità.
Dal 1342 sospese i pagamenti ai Bardi e ai Peruzzi.
Fu davvero la rovina delle banche?
Converrà ricordare che l’intero debito inglese, come annotato sui libri dei creditori, era ancora di un 35 % inferiore a quello che i banchieri fiorentini reclamavano da Firenze - la loro città, la ricchissima.
E che Firenze non riuscì a pagare.
Non erano patrioti, i banchieri fiorentini; erano guelfi neri, il che significa transnazionali.
Sì, nel 1315 avevano fatto abolire a Firenze (dove abitavano loro) le imposte sui redditi, accrescendole nel contado agricolo, fino a schiacciarlo.
Liberatisi così dalle molestie fiscali, i banchieri-mercanti ebbero ancora più agio di indebitare la loro patria.
Nel 1342, reclamavano da Firenze 1,8 milioni di fiorini d’oro (da Edoardo III, come s’è visto, ne pretendevano 1,3).
L’interesse reale su questa cifra spaventosa correva sul 15%; Firenze dovette pagare in anticipo gli introiti delle gabelle di sei anni, per placare i suoi patrioti del denaro.
Non bastò.
Fu uno straniero, Walter de Brienne, a comportarsi da patriota e uomo di Stato: nel breve periodo in cui tenne la Signoria, Brienne ripudiò il debito cittadino, dichiarando Firenze insolvente, proprio come l’inglese Edoardo.


Fu dunque quello il colpo di grazia?
Edward Hunt, studioso della contabilità fiorentina, sostiene che Bardi e Peruzzi già lavoravano in perdita dal 1330, e gli Asti di Siena, coi Franzezi e gli Scali, già dal 1320, «a causa della loro politica di credito all’agricoltura e al commercio»: era crollata la produzione dei beni di prima necessità, su cui i creditori avevano il monopolio.
«Le banche riuscirono a sopravvivere oltre il 1340 unicamente perché la notizia della loro condizione non era di dominio pubblico» (annotazione che può essere ripetuta per il sistema finanziario d’oggi).
Il denaro sterile diventava veleno mortale.
L’esosità degli interessi già uccideva il gregge disposto, docile, a farsi tosare all’infinito del prodotto del suo lavoro, l’unica vera ricchezza nel mondo reale.
Ricordiamo: i fiorentini cavavano il 15 e fino al 20 % da un’economia che produceva il 4.
La causa perenne delle crisi economiche: l’eccessiva retribuzione del capitale.
I veneziani prelevavano sull’economia, come abbiamo visto, il 40%.
E probabilmente furono loro, non i re e i grandi insolventi, ad innescare il collasso finanziario.
Le banche fiorentine operavano principalmente con le celebri lettere di cambio, su cui facevano pagare una commissione: così, prelevavano una tassa ulteriore su ogni scambio, pari almeno al 14 %.
Questo tributo divenne insostenibile anche a causa delle fluttuazioni prodotte dalle manipolazioni sui due metalli operate nella Serenissima.
Di fatto, Venezia aveva imposto all’Europa la moneta d’oro, accaparrando l’argento e mandandolo in Oriente, dove era richiesto e spuntava un prezzo più alto.
Ma la scomparsa dell’argento dall’Europa, se fornì ai fiorentini (col loro fiorino d’oro) più vaste possibilità speculative, fu una delle cause del deperimento dell’economia fìsica: le compravendite comuni si facevano in argento monetato, di più modesto valore.
S’instaurò all’inizio una sorta di deflazione artificiale, per rarità del circolante.


L’attività produttiva languì per mancanza dei mezzi di pagamento; il calo della produzione fece rincarare i prezzi, rendendo rare le merci.
Ne seguì un’inflazione altrettanto artificiale.
A cominciare dal 1325 e fino al 1345, si produce l’effetto temuto: l’abbondanza di oro, poco richiesto in un’economia calante, fa crollare il prezzo del metallo giallo.
Il rapporto passa da 15 contro 1 a 9 a 1: ormai, per comprare un lingotto d'oro, ne bastano 9 d’argento di pari peso, non più 15.
E’ l’argento a rincarare: e Venezia, che ne ha scorte immense, s’arricchisce ulteriormente fornendolo al mercato.
I banchieri fiorentini invece hanno tutti i loro investimenti in oro: il prezzo del metallo in caduta libera è la loro trappola.
Dice Lane: «la caduta del corso dell’oro, a cui i veneziani avevano risolutamente contribuito con le ragguardevoli esportazioni d’argento contro oro da cui traevano profitti, fu nefasta ai fiorentini. Essi erano i dirigenti della finanza internazionale [...] tuttavia non furono in grado, al contrario dei veneziani, di avvantaggiarsi dei cambiamenti che ebbero luogo fra il 1325 e il 1345».
La Serenissima continuò, nel mezzo dei fallimenti bancari che si susseguivano, ad incassare superprofitti.


Fino al 1347: quando la peste nera bussò alle porte d’Europa, entrando dalla Sicilia.
La popolazione europea calò in alcuni decenni da 90 a 60 milioni di abitanti.
Ma la peste non fu un disastro naturale.
Quando si dileguò, nel 1360, il cronista Matteo Villani confessò di aspettarsi una ripresa, essendo i prodotti abbondanti per i pochi sopravvissuti: un’idea da banchiere.
E’ anche oggi una scusa sempre pronta della finanza, accusare la sovrappopolazione dei disastri che provoca.
Invece, con amaro stupore, Villani constatava nuove carestie, caotici aumenti dei prezzi per tutto il decennio; seguiti da deflazione e crollo dei redditi.
Non era dunque la peste a rovinare l’economia.
Era la conseguenza ultima del crack finanziario.
L’esplosione della bolla speculativa ancora destabilizzava la vita d’Europa, mezzo secolo dopo. (3)

Maurizio Blondet


Note
1)
Andò così anche nel 1929: Tra il 1921 e il 1929 l’attività industriale in USA aumentò solo del 30%, ma la Borsa americana del 600%. Alla fine, quando i trasporti di merci in USA erano già ridotti quasi a zero (segno di paralisi del commercio) i beni durevoli restavano invenduti, la Borsa di Wall Street passava ancora di rialzo in rialzo. Tutti continuavano a comprare (spesso a credito) azioni, ossia titoli di carta dietro cui non c'era più nulla.
2) L’Europa orientale viene in quegli anni sommersa dall'invasione mongola. E pare siano state le immense mandrie di cavalli, in cui i mongoli facevano consistere la ricchezza, a smuovere verso Occidente il ratto nero, veicolo del male. Predatori, e perciò liberisti, i mongoli furono alleati di Venezia nelle operazioni finanziarie; l’estesissima rete diplomatica della Serenissima forniva informazioni strategiche ai conquistatori, in cambio di attenzioni come la distruzione di città portuali concorrenti . Dove dominavano, i mongoli sostituirono le monete d’oro con l’argento (di Venezia) e anzi, con monete di carta, a corso forzoso: strepitosa invenzione della creatività finanziaria, che avrebbe avuto un grande futuro. Risultato: la popolazione della Cina passò in 25 anni da 155 a 85 milioni. Indifferenti alla produzione, i mongoli erano interessati allo scambio: imposero nella vastissima area del loro dominio un assoluto mercato libero e unitario. Il Milione di Marco Polo va forse letto come una glorificazione dell’alleanza d'affari fra la Serenissima e Kublai Khan, l’imperatore mongolo che occupava la Cina. La favolosa umanità di Kublai e la prosperità del suo regno, esaltata dal Polo (consigliere speciale alla corte del Gran Khan), è smentita dai resoconti dei missionari, ben consci delle devastazioni mongole.
3) Sono debitore delle idee di questo capitolo a Paul Gallagher, e al suo studio («Comme Venise orchestra le plus grand désastre financier de l’histoire», sul sito solidariteetprogress.online.fr).
Paul Gallagher, membro del gruppo LaRouche, ha scritto il suo saggio mentre era in carcere in USA: sotto la falsa accusa di evasione fiscale, in realtà come prigioniero politico.
Da quel che avete letto, capite perché.

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