26.9.07

Segnali di fumo da Parigi
di Carlo Bertani – 20 settembre 2007

“Picchia la pecora, per ammansire la capra”
Proverbio tibetano

Se le parole sono pietre, quelle del ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner – che hanno fatto il giro delle principali agenzie planetarie – sono missili: «Il mondo deve prepararsi al peggio…cioè alla guerra.»
E ancora: «Ai piani (militari n. d. A.) ci pensano gli Stati Maggiori». Infine: «Abbiamo già chiesto ad un certo numero di grandi imprese di non investire in Iran.»
Detto così, sembrerebbe l’avvio di un conto alla rovescia nei confronti di Teheran: il che, ha stupito qualche commentatore. Ma come, la Francia non reggeva il ramoscello d’ulivo europeo in contrapposizione alla protervia statunitense?

Le dichiarazioni delle cancellerie internazionali vanno soppesate attentamente: non sono certo roboanti proclami e nemmeno velate minacce. La miglior definizione, che potremmo associare a queste dichiarazioni, è forse quella di “messaggi cifrati”.
Rileggendo attentamente la dichiarazione, salta agli occhi che i “piani militari” citati da Kouchner non sono – per sua stessa bocca – «per domani». E allora?
Se non sono per domani, saranno per dopodomani che – nel linguaggio diplomatico – vuol dire spostare gli eventi di parecchi mesi, più probabilmente di qualche anno.
In effetti, avrebbe poco senso proporre oggi agli USA una strategia comune (e fortemente aggressiva) nei confronti dell’Iran, poiché tutti sanno che Washington – oggi – non si può permettere d’assalire nemmeno San Marino. E, questo, per due sostanziali motivi.

Il primo è l’enorme difficoltà che il Pentagono incontra nel reperire nuove reclute: si ventila l’ipotesi di ripristinare la leva obbligatoria (il che, comporterebbe un inevitabile aumento dell’opposizione interna alla guerra) e si cercano rimedi nel sempre più diffuso ricorso alla Guardia Nazionale ed ai contractors.
Nel suo ultimo discorso, Bush ha posto l’accento sulla difesa dell’Iraq come “avamposto per scongiurare possibili attacchi al suolo americano”. A parte la oramai stantia retorica dell’argomento in sé, questo passaggio è necessario per evitare possibili attacchi sul fronte costituzionale: la Guardia Nazionale è un istituto di difesa del suolo americano (usata anche come strumento di protezione civile) per la quale, l’utilizzo “oversea”, è quanto mai dubbio proprio sotto il profilo costituzionale. Le stesse argomentazioni – ricordiamo – furono usate durante la guerra del Vietnam: dobbiamo stare là per difendere casa nostra. La Corte Suprema può accontentarsi.
La cosa, vista dall’Italia, può sembrare di secondaria importanza ma non dimentichiamo che – nei giorni dell’alluvione di New Orleans – salirono le polemiche per il mancato utilizzo della Guardia Nazionale della Louisiana: difatti, era in Iraq.

La seconda ragione, che ci porta a considerare gli USA come un tigrotto al quale hanno assai limato le unghie, è di natura interna.
Non dimentichiamo che, fra un anno, George W. Bush non sarà più un’anatra zoppa, bensì un’anatra congelata. A quel tempo, ci sarà dura battaglia fra il candidato/a democratico e quello repubblicano.
Negli USA, oggi, parlare di guerra in Iraq non è proprio quello che vi consente d’avere schiere adoranti, buona riuscita con l’altro sesso, credito politico: sorreggere la guerra irachena, oggi, negli USA, puzza di morto.

A differenza del Vietnam – quando c’erano anche considerazioni d’altro genere (morali, politiche, ecc) – oggi, a muovere il contrasto alla guerra è la pura e semplice constatazione che, ogni anno che passa, significa migliaia di ragazzi americani che tornano a casa in un sacco di plastica.
Non cerchiamo troppi parallelismi con il Vietnam: oggi, negli USA, della morte degli iracheni non frega quasi niente a nessuno. L’importante, è il sangue a stelle e strisce.
Di conseguenza, chiunque s’azzardi a gettare in campagna elettorale lo spauracchio di una nuova avventura oltremare, corre il grosso rischio di vedere il proprio elettorato volatilizzarsi. L’imperativo, oggi, è: salvare il salvabile e tornare a casa. Altro che Iran.
E, attenzione, questo vale sia per la parte democratica che per quella repubblicana: anche i candidati repubblicani stanno prendendo le distanze da Bush. Una eventuale nuova avventura in Oriente non sarebbe quindi da “recapitare” all’attuale inquilino del 1600 di Pennsylvania Avenue, ma al suo successore.

Come ricordavamo prima, nella dichiarazione del francese Kouchner, quel “dopodomani” potremmo agevolmente collocarlo fra qualche anno, anche perché l’Iran non sarà in grado di produrre Uranio sufficientemente arricchito per scopi militari se non fra parecchi anni, addirittura un decennio, affermano alcune fonti.
Perché la Francia sceglie questo momento per lanciare la sfida?
Anche in questo caso, per ragioni interne ed internazionali.
Passata la prima infatuazione, appare oggi evidente che Sarkozy sta un poco “scassando i maroni”, soprattutto in Europa. Il cancelliere tedesco Angela Merkel – sia pure con toni mai sopra le righe – ha fatto capire di non gradire troppo il protagonismo del collega francese: saranno entrambi di centro-destra, ma uno è francese e l’altra è tedesca.

L’asse franco-tedesco funziona a patto che non si assumano protagonismi eccessivi, che finirebbero per rispolverare vecchie ruggini. L’equilibrio fu gestito saggiamente da Miterrand e da Kohl, poi da Chirac e da Schroeder: da parte della Merkel c’è tutta la volontà di continuare in quel “solco”, mentre “Sarkò” mostra una veemenza che non è certo gradita a Berlino. Forse, sarebbe meglio – per il presidente francese – rivedere alcune parti della storia del ‘900, perché il rapporto franco-tedesco è sempre stato molto “delicato”.
Ma, si sa, il francese ama un poco mostrarsi “sopra le righe” ed ha voluto rispolverare – forse più una questione d’immagine che altro – un po’ della grandeur che fu del generale De Gaulle: dovrebbe ricordare, però, che De Gaulle aveva accanto la Germania stramazzata a terra di Adenauer, mentre oggi la signora Merkel rappresenta il più potente stato dell’UE.
Non confondiamo queste riflessioni con chissà quali ipotesi di “frizioni” fra Parigi e Berlino: il rischio, è (soltanto!) quello di spaccare l’Europa. La Germania , non dimentichiamo, ha all’est un eventuale partner ( la Russia ) con il quale già oggi fa affari d’oro e che domani potrebbe diventare qualcosa di più di una semplice missione commerciale.

L’aspetto più interessante della nuova grandeur francese, però, tocca temi internazionali di maggior spessore. Mio Dio, quanto è denso il petrolio, quanto è “spesso”.
Se Berlino ha addirittura inviato un ex cancelliere (Schroeder) a sorvegliare la costruzione del nuovo gasdotto, che porterà il metano siberiano in Germania passando sul fondo del Baltico (ed abbandonando, quindi, al loro destino i gemelli polacchi Kwasniewski e il “terzetto” ucraino Yushchenko, Tymoshenko e Yanukovich), la Francia ha qualcosa da recriminare per quel maledetto 2003, quando gli USA le strapparono il tesoro iracheno.

Per Elf-Total-Fina, quel 2003 è proprio un anno da dimenticare.
Qual era la ripartizione per nazioni dello sfruttamento petrolifero sotto Saddam Hussein? La tabella lo mostra:

Giacimento

Stima (miliardi di barili)

Compagnie

Majnoon

30

Francia

Qurnah

15

Russia

Bin Uhmar

6

Francia

Halfaya

2.5

Australia

Suba

2.2

Russia

Nassiryah

2

Italia – Spagna

Gharaf

1

Turchia – Giappone

Ratawi

1

GB - Olanda - Canada - Malesia

Tuba

0.5

India - Algeria - Indonesia

Nord Rumalia

0.4

Russia

Sud Rumalia

0.4

Russia

Al Rafidain

0.3

GB

Amara

0.2

Vietnam

Al Adhab

0.2

Cina

La Francia poteva far affidamento su 36 miliardi di barili, che al prezzo odierno (80 $/barile) fanno la rispettabile cifra di 2.880 miliardi di dollari. La Russia su 18 miliardi di barili, che equivalgono a 1.440 miliardi di dollari. Sommando le cifre, arriviamo quasi a 4.320 miliardi di dollari; un bel gruzzolo, niente da dire, soprattutto se lo raffrontiamo alle concessioni USA: zero. Sorpresi per la “strenua” contrarietà alla guerra di Parigi e di Mosca?
La differenza, fra i russi e i francesi, è che i primi sono anche produttori – petrolio, gas e carbone – mentre Parigi importa energia dall’estero e compensa con una forte produzione elettrica di fonte nucleare. In altre parole, la guerra irachena, la crescita cinese e d’altri paesi “emergenti”, le tensioni con l’Iran e le stime sulle riserve di petrolio che restano hanno condotto il colosso russo Gazprom ad essere la seconda realtà industriale del pianeta, alle spalle di Microsoft.

Ci sarebbe da riflettere a lungo su questi due colossi: il primo creatore d’intelligenza artificiale, il secondo dell’energia necessaria per sorreggerla. Potrebbe essere un argomento interessante per un altro articolo.
Va da sé che, se volessimo proprio stabilire chi è rimasto con il classico “cerino” acceso in mano, quella è proprio Parigi: difatti, da qualche anno a questa parte, i colossi dell’acqua francesi (Vivendi, Perrier, ecc) stanno cercando di creare un nuovo monopolio per compensare ciò che fu perso nel mercato petrolifero.
Ciò non significa, però, che non si possano inviare segnali nell’etere che, domani, altri potrebbero raccogliere.

La strana “uscita” del ministro degli esteri francese – se non può essere diretta a George Bush, perché non è più in grado di riceverla – potrebbe diventare interessante per la prossima amministrazione USA. Non scandalizziamoci troppo: se si tratta di petrolio e di dominio neocoloniale, non fa poi tanta differenza fra un Bush ed una Hillary. Non dimentichiamo che la guerra del Vietnam fu iniziata da un presidente democratico (Kennedy) e conclusa da un repubblicano (Nixon): questo, con buona pace di Veltroni e di tutti i “buonisti” del nuovo PD (che sanno poco di storia, oppure fanno finta d’averlo dimenticato).
La partita è dunque molto complessa e si giocherà probabilmente su due tavoli: il primo vedrà gli anglo-americani trattare con Parigi per la “pacificazione” dell’Iraq (e la re-distribuzione delle risorse petrolifere), il secondo “galvanizzerà” il tavolo russo-tedesco, dove – con ogni probabilità – i russi potranno alzare la posta.

Già, ma quali russi?
Anche Vladimir Putin è in dirittura d’arrivo ma – a differenza di Bush – non uscirà dalla porta di servizio dello stadio, bensì farà il giro d’onore prima di lasciare ad altri. Lascerà Putin? Sarà vero?
Sotto l’aspetto formale, così sarà, ma attendersi che Vladimir – a 55 anni – vada ad “accomodarsi in dacia” non mi sembra un’ipotesi fra le più gettonate.
Le recenti dimissioni del primo ministro Mikhail Fradkov e la repentina elezione – con la benedizione del Cremlino – dello sconosciuto (e debole) Viktor Zubkov, che non ha nascosto di mirare alla presidenza nel 2008, fanno intendere che il “gruppo di San Pietroburgo” (forse, sarebbe più corretto dire “di Leningrado”) ha il pieno potere sulla Russia.

Con un presidente debole per quattro anni – che nel 2012 avrebbe 70 anni, un matusalemme per la nuova leadership russa – Putin, Ivanov ed i poteri forti del Cremlino hanno tutte le vie aperte: un ritorno sulla scena di Putin nel 2012, a 59 anni, magari “a furor di popolo”, oppure un discreto manovrare dietro le quinte.
Il potere russo è tornato, praticamente, ad essere nelle mani del nuovo “Soviet Supremo” insediato al Cremlino: è mutata solo qualche sigla. La cosa sembra dar molto fastidio in Occidente, ma non ai russi, che ricordano invece gli anni di “avvicinamento” all’Occidente – l’era di Eltsin – come un incubo.
La mossa francese sembra quindi interlocutoria nei confronti di Washington: molto probabilmente, si sta già trattando non tanto sull’Iran – quella è una storia da prendere con le molle, che fa paura sia a Parigi che a Washington – ma sul futuro assetto dell’Iraq.

Nonostante tutti gli sforzi di Halliburton (Cheney), la produzione di greggio irachena non decolla: quando giunsero gli americani, era ai minimi storici a causa del lungo embargo.
In buona sostanza, gli USA ereditarono un apparato petrolifero vecchio e fatiscente, con pozzi in gran parte insabbiati, trasporti e pipeline fuori uso.
Per rimettere in sesto un simile disastro, sarebbero stati necessari anni di lavoro in una situazione tranquilla: si parla poco – in Occidente – degli attentati contro le strutture petrolifere in Iraq, ma dal 2003 sono stati uno stillicidio.
Gran parte dei contractors assunti dall’amministrazione USA servono proprio al controllo delle installazioni petrolifere, perché sono strutture delicate che, con poche risorse belliche (semplice esplosivo), sono messe fuori uso per lungo tempo.

Tutto ruota perciò intorno alla capacità di controllare il territorio, senza la quale nessun progetto petrolifero serio può decollare.
La recente uscita dal governo iracheno di Moqtada al Sadr fa presagire che gli equilibri interni stiano mutando: dopo aver appoggiato per anni la fazione sciita (ed aver constatato d’aver realizzato la profezia di Bush padre, ossia di regalare su un piatto d’argento l’Iraq a Teheran), forse oggi gli americano tentano un riavvicinamento con la fazione sunnita.
Per mettere a posto le cose ci vorrebbe un bel Saddam Hussein – sciita o sunnita – con tanto d’esercito fedele e polizia segreta per mantenere stabilità al potere: l’hanno impiccato, e adesso non è facile trovarne un altro con le sue doti. La “macchinetta” che sforna i Saddam non replica tutti i giorni: anche per fare il dittatore, bisogna avere una certa “formazione” – diremmo in Occidente – e i vari politici iracheni che s’avvicendano al potere sembrano tante marionette senza spina dorsale.

L’unica soluzione, allora, per mettere a posto petrolio e stabilità, passa per il tanto vituperato ONU, che “baffone” Bolton cercò per anni di delegittimare. Insomma, la solita storia: caschi blu prelevati da mezzo (terzo) mondo e comandi Occidentali.
Già, ma chi comanda?
Una forza ONU dovrebbe non dover patire lo stillicidio d’attentati che gli americani stanno subendo, altrimenti non cambierebbe niente.
Per prima cosa, allora, dovrebbe cessare qualsiasi appoggio alla guerriglia – palese o nascosto – da parte di chi la rifornisce di armi, denaro, informazioni. A meno di credere che la guerriglia irachena sia il frutto di quattro scalzacani ben determinati, i quali – ricevendo soltanto aiuti da qualche povero paese arabo – tengano in scacco il più potente esercito del mondo.

Liberi di credere anche a Biancaneve, ma ricordiamo che i vietcong ressero per molti anni grazie a costanti rifornimenti russi e cinesi.
Terminata la sciagurata avventura di Bush, l’unità degli ex colonizzatori potrebbe essere ritrovata sulla base di una re-distribuzione delle ricchezze petrolifere del paese. Il processo è in atto: i francesi sono tornati in Libano (ancora una volta…) e, da qui, potrebbe ripartire un secondo “Trattato di Sèvres”, con la ripartizione d’alcune sfere d’influenza (e i relativi proventi petroliferi).

E’ presto per affermare se questo piano sia attuabile, anche perché siamo soltanto ad una prima fase – interlocutoria – ma la stranissima affermazione del ministro francese non può, a mio avviso, essere altrimenti interpretata. Tanto meno, nel senso letterale: dopo lo sconquasso finanziario causato dalle note vicende americane dei mutui subprime, con il prezzo del greggio che “vola” verso i 90 $/barile, ci aggiungiamo un bel attacco all’Iran? Vogliamo proprio veder affondare l’economia mondiale? Oppure giocare tutto sull’economia di guerra? I tempi non sono ancora maturi: gli equilibri economici consentono ancora lauti guadagni.
No, signori miei, saranno pure dei maledetti assassini, ma non sono dei folli: l’imperativo – oggi – è stabilizzare, non destabilizzare.
La nuova “stabilizzazione” passa proprio per una riunificazione dell’unità fra le potenze colonizzatrici, ovviamente con rinnovati equilibri di potenza: come a Suez nel 1956 – quando gli USA lasciarono al loro destino Francia e Gran Bretagna, imponendo così il loro primato anche nell’area da sempre controllata dalle potenze europee – oppure come per l’Iran nel 1953, quando gli USA giunsero in aiuto della Anglo-Iranian Oil Company, nazionalizzata da Mossadeq, e risolsero tutto con il classico colpo di stato.

In questa lunga vicenda, USA, GB e Francia giocano da almeno un secolo una partita che le vede unite nei loro intenti (sorrette, in questo senso, dalla sostanziale unità delle borghesie finanziarie) e in competizione fra di loro (a causa dell’apparente competizione fra le rispettive borghesie nazionali): la più classica delle contraddizioni del mondo capitalista. La soglia della guerra – non dimentichiamo – viene oltrepassata soltanto quando quelle contraddizioni non sono più sanabili e, anche in piena guerra, le borghesie continuano in qualche modo a lucrare: l’esempio degli “sporchi affari” fra Thyssen (grande “elettore” di Hitler) e Prescott Sheldon Bush (nonno dell’attuale presidente) con il Terzo Reich lo dimostrano.
Possiamo comprendere meglio la contraddizione se analizziamo alcuni eventi che stanno accadendo proprio di questi tempi: la recante “multa” comminata dall’UE a Microsoft – di là delle motivazioni giuridiche, più o meno plausibili – testimonia attrito fra le due sponde dell’Atlantico. Altri esempi sono i frequenti dissidi interni al WTO, come la questione dei dazi sull’acciaio, lo spionaggio industriale operato mediante Echelon ed altri mezzi per acquisire posizioni di mercato dominanti: insomma, fra Washington e Bruxelles c’è sempre lotta per favorire alcuni a scapito di altri. Sull’altro versante – soprattutto a causa della sempre maggior internazionalizzazione del capitale – prevalgono le scelte di conservazione del quadro d’insieme: la FED e la BCE , per compensare i danni causati dalla nota vicenda dei mutui americani, hanno immesso nel circuito bancario qualcosa come 350 miliardi di euro (pressappoco 100 la FED e 250 la BCE ). Cosa significa?

Vuol dire che, all’interno di un quadro d’insieme, è permessa la competizione – e passi pure qualche colpo basso – ma non si deve mettere in discussione la sostanziale unità dei capitalisti nei confronti dei lavoratori, dei paesi più poveri, di tutti coloro che non vivono di finanza.
Le guerre – le vere guerre – scoppiano quando viene messo in discussione proprio il quadro generale degli scambi all’interno del capitalismo internazionale: per ben due volte, fu la Germania a mettere in forse il potere commerciale e marittimo degli Angli sul pianeta.
La storia si ripete – qualcuno afferma – ma sempre con scenari mutati. Altri teatri di posa stanno nascendo: cosa farà la Groenlandia ? Si staccherà definitivamente dalla Danimarca? La partita dell’Artico (ancora petrolio) si giocherà a due (USA e Russia) o a tre (USA, Russia ed UE)? E con quale unità europea? Con un asse franco-tedesco o due distinti assi, quello franco-britannico e quello russo-tedesco?

Come si può notare, l’apparente “nota stonata” della dichiarazione francese, assume senso soltanto se la proiettiamo in un palcoscenico dove gli attori stanno improvvisando una nuova rappresentazione: per ora si tratta soltanto della classica “battuta ad effetto”, per osservare l’effetto che fa e verificare se – chi “di dovere” – risponde al richiamo.
Nel pieno rispetto della sua tradizione storica, l’Italia ondeggia fra le odierne “Triplici” alleanze ed intese: legata al carro russo-tedesco – con gli accordi economici concordati fra Putin e Prodi e la recente dichiarazione di D’Alema, che sminuisce la boutade francese – oppure pronta ad un nuovo asservimento verso gli USA, qualora tornasse a regnare il centro-destra.
Niente, però, di così determinante e di non ritrattabile per entrambi gli schieramenti: un po’ di Dal Molin da un lato e una visita ad Hezbollah dall’altra, tanto per poter cambiare cavallo quando occorre. La tradizione, anzitutto.

L’unica cosa che possiamo fare noi italiani è non cascare nell’inganno delle mille sigle che si celano dietro a fantomatiche “fondazioni” estere, commentatori dai nomi astrusi e “gole profonde” che, resuscitando confidenze apocalittiche, cercano di propinarci uno schema, ahimé, troppo semplice: una sorta di “partita” di calcio con americani da un lato e tutti gli altri dall’altra, con attacchi all’Iran imminenti e flotte pronte a prendere il mare. La partita non è USA-Resto del Mondo: la vera partita è più sfumata, fra più attori, ma non meno pericolosa. Solo l’analisi storica consente di guardare oltre l’orizzonte con la certezza di non compiere troppi errori di valutazione: se ci lasciamo trasportare dall’onda delle notizie, dimentichiamo che la maggior parte delle news sono lanciate nei circuiti internazionali per precisi scopi di parte, non per informare.

Fin quando reggerà la sostanziale unità degli ex colonizzatori, ed accordi soddisfacenti con lo sterminato pianeta russo, cinese ed indiano, nessuno si sognerà di dare un calcio a commerci lucrosi, ad una stabilità che consente ricchezza per l’Occidente e fame per molti.
Nemmeno i danni causati da Bush all’economia americana sono sufficienti per rischiare il tutto per tutto, gettando il dado della guerra: combineranno qualche nuova marachella finanziaria, abbasseranno ulteriormente i salari minimi, aumenteranno le esecuzioni capitali e i locali di strip-tease. Paradossalmente, nemmeno uno sciagurato come Bush è riuscito a stramazzare gli USA: molto indeboliti, certo, ma non al tappeto.
Il peggior rischio corso da Bush – con le sue scelte unipolari – è stato mettere in dubbio accordi che duravano da almeno un secolo, ma la meteora-Bush sta oramai svanendo: stiamo attenti, invece, soprattutto all’Artico, alla questione di Kaliningrad ed a Taiwan. Quelli sì che sono problemi rischiosi, micce e depositi di polvere che possono far saltare il mondo: altro che le “di là da venire” atomiche iraniane…

Carlo Bertani articoli@carlobertani.it www.carlobertani.it http://carlobertani.blogspot.com

www.disinformazione.it

17.9.07

Rutelli, la banca del DNA e la questione monetaria

di Ernesto Melappioni (tratto da Arcipelago moneta )

Cari amici tutti,

Forse siamo gli unici a comprendere, con una approssimazione più coerente alla verità in confronto a molti altri cittadini, cosa stia realmente accadendo alla civiltà moderna.

Francesco Rutelli ieri, alla festa dell'unità di Bologna, ha lanciato l'ennessima pietra contro i diritti umani. Ospite di un evento tradizionale italiano che nel corso degli ultimi decenni si è fatto più motivo di aggregazione sociale che politico e che, forse, dopo la realizzazione del partito democratico cesserà di esistere.

Francesco Rutelli ha lanciato la sottile proposta di costituire una Banca del DNA per prevenire i crimini nella nostra società italiana come già accade nei paesi anglosassoni Stati Uniti E Gran Bretagna.

Tutto in nome di una fantomatica "Sicurezza".

Nessuna reazione da parte della gente che, se pur diffidente sul personaggio, non ha accolto minimamente il significato profondo di quella proposta a dir poco fascista nel cuore della loro festa; che teoricamente dovrebbe portare dentro i valori comunisti.

Siamo ormai un popolo che brancola nel buio.

Ormai sono riusciti ad anestetizzarci, a lobotizzarci a lavarci il cervello derubandoci la capacità di pensare con la nostra mente.

Se fossi stato a quella festa, lo avrei insultato a voce alta dandogli del nazifascista. Usando l'unico aggettivo utilizzabile per definirlo perché non ne conosco un altro più appropriato dal momento che non conosco e non so quale organizzazione mondiale si nasconde sotto le spoglie di umani dalle candide vesti. Chi sono? I Visitor di David Icke forse?

Con la sua proposta e con la giustificazione della sicurezza si vogliono appropriare della nostra più intima identità con l'illusione di poterci regalare "dopo" una maggiore tranquillità sociale.

La sicurezza secondo me nasce dal profondo di una società. Dalle sue radici. Dall'educazione sociale e spirituale dei suoi cittadini fin dalla loro nascita.

Ora ci stanno chiedendo di dare il nostro sangue, il nostro DNA e ci trattano come un piano telefonico prepagato. Paghiamo prima per avere un servizio dopo! Ma quale genere di servizio?

Io dovrei dare forse il mio sangue a questa banda di psicopatici per essere codificato?

Si psicopatici! Quei soggetti patologicamente malati che trasgrediscono la naturale etica umana e prediligono le forme di controllo sugli altri. Quegli assassini organizzati che creano omicidi di massa per alimentare il terrore sociale. Io dovrei dare a loro il mio sangue, la mia verità?

Amici, ci hanno tolto la rabbia stuprando una parola a noi molto cara:

"democrazia".

Chi lo ha detto che per essere democratici non dobbiamo usare l'unico meccanismo che la natura ci ha dato per difenderci, la rabbia?

Magari una rabbia più evoluta quanto è evoluto il loro modo di sottometterci lasciandoci andare in un sonno profondo di incoscienza collettiva.

Dobbiamo essere rapidi, organizzati, comuinicativi ed efficaci più che mai al fine di far scorrere rapidamente nel corpo sociale una verità difficile da far comprendere: una moneta malata.

Dobbiamo trovare il modo di fare più aggregazione possibile con furbizia. Usando magari le loro stesse strategie.

Dopo l'11 settembre, secondo me... c'è qualcosa ancora che non afferriamo completamente.

Qualcosa che ci sfugge. Qualcosa che dovremmo raggiungere. Un tassello che manca e che non ci permette di vedere il puzzle nel suo insieme.

La domanda è... perché hanno lasciato la porta aperta alla prolificazione di teorie complottistiche?

Sono veramente tanto stupidi a disseminare indizi così evidenti come buchi di pochi metri nel edificio più protetto del mondo?

Sono veramente tanto stupidi a far sgretolare in polvere con precisione millimetrica, davanti gli occhi increduli di sei miliardi di individui, le più imponenti opere di architettura moderna?

Che l'umanità tutta è in pericolo... questo è fuori ombra di dubbio!

Ma quale è veramente il loro obiettivo?

Unificare tutto il mondo sotto un unico sistema di controllo di massa con un governo planetario alla David Icke?

Oppure resettare il sistema, ormai saturo, non più con una guerra tra popoli ma con la guerra alla sopravvivenza tra il popolo stesso?

Magari riusciremo pure con molti sforzi a impiantare qualche salvagente monetario in Italia, ma come potremmo difenderci dalla arroganza costituita nel trattato di Mastricht, arroccato su un castello blindato e con l'ordine costituito di usare le armi sulla popolazione nel caso di una rivolta contro di esso?

Questa è la cruda verità!

Forse con la mia sensibilità sto leggendo un futuro più amaro di tutti voi o forse anche voi lo state leggendo come me nel vostro intimo, se così fosse allora dobbiamo sforzarci tutti di trovare una unità stabile, decisa e programmatica.

Sappiamo tutti che fin quando la democrazia non è sovrana della sua moneta non potrà mai essere considerata tale ne tantomeno al sicuro.

Sappiamo tutti che la sicurezza nasce da una equa distribuzione della ricchezza.

Sappiamo tutti che è possibile con l'emissione diretta e la fiscalizzazione a tasso negativo sulla massa monetaria raggiungere questo obiettivo con il reddito di cittadinanza.

Sappiamo tutti che una volta tranquillizzato l'individuo sulla sua naturale sopravvivenza esso non sarà mai persuaso dal commettere nessun genere di criminalità o violenza ma sarà invece proiettato verso la ricerca ed il significato profondo della vita.

Allora cosa mai aspettiamo?

Perché mai continuare a stare alle regole di chi dirige il gioco alimentando la nostra paura fertilizzata da queste stesse regole?

Gandhy il sale se lo prese senza chiedere autorizzazioni a nessuno, anzi, informando tutti che lo avrebbe fatto.

Certo... se noi percorressimo questa strade diretta ci ritroveremo con molti rubinetti chiusi: energia, acqua, alimentazione, intercomunicazione e saremo noi a generare il caos.

Ma è anche vero che condurre la battaglia rispettando le regole del nostro nemico è una battaglia persa dall'inizio.

Dobbiamo trovare il modo di trasgredire in virtù dei diritti umani universali.

Raccogliere l'esigenza aperta di milioni di cittadini che non riescono più a pagare finanziamenti e mutui facendoli sentire non più soli.

Informadoli sulle motivazioni di base, sul fatto che la moneta viene generata dal nulla, sul fatto che le banche non pagano le tasse su la moneta che emettono per questi prestiti, sul fatto che l'ingiustizia è legalizzata. Attivandoli di conseguenza!

La disobbedienza civile e la resistenza passiva sono le nostre uniche armi.

Se vogliamo colpire il nostro nemico senza restare a secco di approvvigionamenti lo possiamo fare solo in questo modo. Non pagando più il sistema bancario diretto, cavalcando l'onda della crisi in corso e motivandola con l'ingiustizia di fondo, affinché emerga alla luce degli occhi di tutti.

http://www.centrofondi.it/articoli/Rutelli.htm

5.9.07

L'INGANNO DEL DOLLARO: COME LE BANCHE CREANO SEGRETAMENTE IL DENARO

di Ellen Brown, 3 luglio 2007
http://www.webofdebt.com/articles/dollar-deception.php

(a cura di Sandro Pascucci - www.signoraggio.com)
traduzione di JJules - http://signoraggio.forumfree.net/?t=20029665


E' stato definito "il gioco di prestigio più strabiliante che sia mai stato inventato". La creazione del denaro è stata privatizzata e usurpata al Congresso da un cartello bancario privato. La maggior parte delle persone pensa che il denaro sia emesso per decreto dal governo, ma le cose non stanno proprio così. Ad eccezione delle monete metalliche, che costituiscono all'incirca solo l'uno per mille dell'offerta monetaria complessiva degli Stati Uniti, tutto il nostro denaro viene ora creato dalle banche.

Le banconote con la dicitura Federal Reserve (banconote di dollari) sono emesse dalla Federal Reserve, una società per azioni privata, e prestati al governo1. Inoltre, le banconote con la dicitura della Federal Reserve e le monete metalliche costituiscono, assieme, meno del 3 per cento dell'offerta monetaria. L'altro 97 per cento è creato, sotto forma di prestiti, dalle banche commerciali2.

Non credete al fatto che le banche creano il denaro che prestano? Non lo credeva nemmeno la giuria nel corso di una causa in Minnesota che ha lasciato un segno nella storia, finché non ne hanno avuto le prove. Nel 1969, First National Bank of Montgomery contro Daly fu un evento giudiziario degno della sceneggiatura di un film3. L'imputato, Jerome Daly, si opponeva al pignoramento della banca in merito all'ipoteca di 14.000 dollari gravanti sulla sua abitazione sulla base del fatto che non vi era alcun corrispettivo per il prestito.

Il "corrispettivo" ("la cosa scambiata") è un elemento essenziale di un contratto. Daly, un avvocato che si auto-rappresentava, sosteneva che la banca non aveva messo da parte del vero denaro per il suo prestito. Gli atti processuali furono verbalizzati dal giudice ausiliario Bill Drexler, il cui compito principale, egli disse, fu quello di mantenere l'ordine in un'aula carica di tensione nella quale gli avvocati minacciavano di prendersi a pugni. Drexler non aveva dato molto credito alla teoria della difesa, finché il signor Morgan, il presidente della banca, non fu chiamato a testimoniare.

Con la sorpresa di tutti, Morgan ammise che la banca creava abitualmente "dal nulla" il denaro per i propri prestiti e che si trattava di una procedura bancaria standard.

"A me sembra un imbroglio", intonò il giudice Martin Mahoney tra i cenni d'assenso dei giurati. Nel suo memorandum, il giudice Mahoney affermava: "Il querelante ha ammesso che, in collaborazione con la Federal Reserve Bank di Minneapolis, ... l'intera somma di 14.000 dollari in denaro e credito fu creata nei propri registri con annotazioni contabili. Che questa era il corrispettivo utilizzato per avvalorare la Distinta datata 8 maggio 1964 e l'Ipoteca emessa nella stessa data. Il denaro e il credito hanno avuto origine quando sono stati creati.

Il signor Morgan ha ammesso che non esisteva alcuna legge o statuto degli Stati Uniti che gli avesse concesso il diritto di farlo.

Un corrispettivo legittimo deve esistere e deve essere portato a sostegno della Distinta". La corte respinse la richiesta di pignoramento da parte della banca e l'imputato conservò la propria abitazione. Per Daly, le implicazioni furono enormi. Se i banchieri stessero veramente estendendo il credito senza corrispettivo - senza supportare i propri prestiti con il denaro che avevano realmente nei propri forzieri e che avevano il diritto di prestare - una decisione che dichiarasse che i loro prestiti erano nulli poteva far crollare la base del potere del mondo.

Daly scrisse in un articolo su un quotidiano locale: "Questa sentenza, che è legalmente corretta, ha l'effetto di dichiarare che tutte le ipoteche private sulle proprietà personali e immobiliari, tutte le obbligazioni statali e nazionali gestite dalla Federal Reserve, dalle banche statali e dalle banche nazionali sono nulle. Questo equivale all'emancipazione di questa Nazione dal debito personale, nazionale e statale dovuto, a quanto si dice, a questo sistema bancario. Ogni americano è debitore di sé stesso ... per studiare questa sentenza molto attentamente ... perché su questa poggia la questione della libertà o della schiavitù".

Inutile dire, comunque, che la sentenza non riuscì a cambiare l'andazzo generale, sebbene non fu mai rovesciata. Questo era quello che si udì in un ufficio del giudice di pace, un sistema di tribunali autonomi che risalivano ai giorni della conquista dell'Ovest quando gli imputati avevano delle difficoltà a raggiungere le città più grandi per comparire in giudizio. In quel sistema, ora scomparso, i giudici e i tribunali erano sostanzialmente separati. Il giudice Mahoney, che non era dipendente dai finanziamenti per la campagna elettorale né ostacolato da precedenti giudiziari, si spinse così lontano fino a minacciare di far causa alla banca e di smascherarla.

Morì sei mesi dopo il processo, in un misterioso incidente che sembrò avvelenamento4.

Da allora, parecchi imputati hanno tentato di evitare le inadempienze sul prestito utilizzando il modello di difesa di Daly, ma con scarsi risultati. Ecco quello che un giudice ha detto in via non ufficiale: "Se vi lascio fare questo - a voi e chiunque altro - farebbe crollare l'intero sistema ... non posso permettervi di andare a curiosare dietro il bancone ... non andremo dietro al sipario!"5

Di tanto in tanto, comunque, questo sipario è rimasto sollevato abbastanza a lungo per permetterci di vedere dietro le quinte. Un certo numero di autorità rispettabili hanno testimoniato quanto accadeva, tra cui Sir Josiah Stamp, presidente della Banca d'Inghilterra e il secondo uomo più ricco del Regno Unito negli anni '20 del secolo scorso. Egli dichiarò in un discorso ufficiale alla University of Texas nel 1927: "Il sistema bancario moderno fabbrica denaro dal nulla. Il procedimento è forse il gioco di prestigio più strabiliante che sia mai stato inventato. Le attività bancarie sono state concepite nell'ingiustizia e nate nel peccato ... i banchieri possiedono la terra. Toglietegliela da sotto i piedi ma lasciate loro il potere di creare denaro e con un guizzo di inchiostro creeranno abbastanza denaro per ricomprarsela ... togliete loro questo grande potere e tutte le enormi fortune come la mia svaniranno, e allora questo sarà un mondo migliore e più felice in cui vivere ... ma se volete rimanere schiavi dei banchieri e pagare il costo della vostra schiavitù, continuate a permettere loro di creare denaro e di controllare il credito.

Robert H. Hemphill, responsabile del Credito presso la Federal Reserve Bank di Atlanta al tempo della Grande Depressione, ha scritto nel 1934: "Noi siamo completamente dipendenti dalle Banche commerciali. Qualcuno deve prendere a prestito ogni dollaro che abbiamo in circolazione, in contanti o a credito. Se le Banche creano abbondante denaro sintetico, noi siamo ricchi; altrimenti, facciamo la fame. Non abbiamo assolutamente un sistema monetario durevole. Avendo una visione globale della cosa, la tragica assurdità della nostra posizione senza speranza è quasi incredibile, ma è così. Si tratta del tema più importante sul quale le persone intelligenti possano indagare e rifletterci sopra6".

Graham Towers, governatore della banca centrale canadese dal 1935 al 1955, ha ammesso: "Le banche creano denaro. Servono a questo ... il processo produttivo per creare denaro consiste nell'inserire una voce in un registro. Tutto qui ... ogni volta che una Banca concede un prestito ... viene creato nuovo credito bancario, denaro nuovo di zecca7".

Questo è quanto ha dichiarato Robert B. Anderson, Segretario del Tesoro sotto la presidenza Eisenhower, in un'intervista pubblicata sull'edizione del 31 agosto 1959 di U.S. News and World Report: "Quando una banca concede un prestito, essa aggiunge semplicemente al conto di deposito del mutuatario presso la banca l'ammontare del prestito. Il denaro non è preso dal deposito di nessun altro, non è stato versato in precedenza alla banca da nessuno. Si tratta di nuovo denaro, creato dalla banca per essere utilizzato dal mutuatario".

Come è nato questo schema e in che modo è stato nascosto per così tanto tempo? Per rispondere a queste domande, dobbiamo fare un salto indietro nel diciassettesimo secolo.

Gli orafi e il gioco delle tre carte.

In Europa, nel diciassettesimo secolo, il commercio era condotto prevalentemente con monete d'oro e d'argento. Le monete erano durevoli e avevano un valore intrinseco ma era difficile trasportarle in grosse quantità e potevano essere rubate se non venivano messe sotto chiave. Dunque, molte persone depositavano le proprie monete presso gli orafi, che disponevano delle casseforti più sicure in città. Gli orafi, a loro volta, emettevano delle comode ricevute cartacee che potevano essere negoziate al posto delle ingombranti monete che rappresentavano. Queste ricevute erano utilizzate anche quando la gente che aveva bisogno di monete si recava dall'orafo a richiedere un prestito. I guai iniziarono quando gli orafi si accorsero che, in un qualunque momento, solo dal 10 al 20 per cento delle proprie ricevute ritornava per essere riscattato in oro.

Essi potevano "prestare" in tutta sicurezza l'oro contenuto nelle proprie casseforti ad interessi parecchie volte superiori, finché potevano mantenere dal 10 al 20 per cento del valore dei loro notevoli prestiti in oro per far fronte alla domanda. Gli orafi, perciò, crearono il "denaro di carta" (ricevute per prestiti di oro) del valore di parecchie volte superiore al metallo prezioso che in realtà detenevano. Venivano tipicamente emesse banconote e concessi prestiti in quantità che erano da quattro a cinque volte la loro reale disponibilità in oro.

Ad un tasso di interesse del 20 per cento, lo stesso oro prestato cinque volte produceva un rendimento del 100 per cento ogni anno, su oro che gli orafi in realtà non possedevano e che, legalmente, non potevano affatto prestare. Se fossero stati attenti a non sovraesporre questo "credito", gli orafi potevano dunque divenire sufficientemente benestanti senza produrre alcunché di valore. Poiché solo il capitale era dato a prestito nell'offerta monetaria, alla fine si doveva restituire una somma, in capitale e interesse, maggiore di quella che l'intera cittadinanza possedeva. I cittadini dovevano continuamente ricorrere a prestiti di nuova carta moneta per coprire il deficit, provocando il dirottamento della ricchezze della città e, alla fine, dell'intero paese all'interno dei forzieri degli orafi ora trasformatisi in banchieri, mentre la gente si copriva gradualmente di debiti8.

Seguendo questo modello, nel diciannovesimo secolo in America le banche private emisero banconote proprie in quantità fino a dieci volte superiori alle riserve reali in oro. Questa fu chiamata attività bancaria "di riserva frazionaria", intendendo che solo una frazione, una parte dei depositi complessivi gestiti dalla banca erano mantenuti come "riserva" per far fronte alla domanda dei depositanti.

Ispezioni periodiche effettuate alle banche quando i clienti divennero tutti sospettosi e pretesero nello stesso momento il proprio oro, le mandarono in rovina e resero il sistema instabile.

Nel 1913, il sistema delle banconote private fu quindi consolidato in un sistema di banconote nazionali sotto la Federal Reserve (o "Fed"), una società per azioni privata a cui fu concesso il diritto di emettere banconote con la dicitura Federal Reserve e prestarle al governo degli Stati Uniti. Queste banconote, emesse dalla Fed al semplice costo di stampa, divennero la base dell'offerta monetaria nazionale. Vent'anni dopo, il paese stava affrontando una gravissima depressione.

L'offerta di denaro si contrasse, mentre le banche chiudevano i battenti e l'oro fuggiva in Europa. I dollari, all'epoca, dovevano essere sostenuti per il 40 per cento da oro, dunque per il valore in oro di ogni dollaro che lasciava il paese, 2,5 dollari in moneta di credito svanivano.

Per impedire che questa allarmante spirale deflazionaria facesse crollare del tutto l'offerta di moneta, nel 1933 il Presidente Franklin Roosevelt sganciò l'oro dal gold standard.

Oggi la Federal Reserve opera ancora nel sistema di "riserva frazionaria", ma le proprie "riserve" non consistono in nulla se non obbligazioni governative (pagherò o debiti). Il governo emette obbligazioni, la Federal Reserve emette banconote con la dicitura Federal Reserve, ci si scambiano alla fine enormi somme di denaro lasciando il governo in debito verso una società per azioni privata, denaro che il governo avrebbe potuto emettere da solo, esente da interesse.

Rubare con l'inflazione.

M3, l'indicatore più ampio dell'offerta monetaria degli Stati Uniti, è schizzato dai 3.700 miliardi di dollari del febbraio 1988 ai 10.300 miliardi 14 anni più tardi, quando la Fed smise di riportarlo. Il perché la Fed abbia cessato di comunicarlo è suggerito da John Williams in un sito web chiamato "Shadow Government Statistics" [le statistiche ombra del governo, http://www.shadowstats.com]www.shadowstats.com, NdT] nel quale viene mostrato che, nella primavera del 2007, M3 stava crescendo al ritmo impressionante dell'11,8 per cento annuo. Meglio non pubblicizzare troppo quelle cifre!

La domanda che viene posta qui, comunque, è la seguente: da dove proveniva tutta questa nuova moneta? Il governo non ha aumentato la propria emissione di monete metalliche e non è stato aggiunto oro all'offerta monetaria nazionale, perché il governo ha abbandonato il gold standard nel 1933. Questo nuovo denaro poteva essere solo stato creato privatamente mentre il "credito bancario" avanzava sotto forma di prestiti. Il problema è che inflazionando in questo modo l'offerta di moneta, anche i prezzi, naturalmente, ne risultano inflazionati.

Una maggior quantità di denaro che compete per gli stessi beni fa aumentare i prezzi. Il dollaro ha un potere di acquisto inferiore, sottraendo alla gente il valore del proprio denaro. Di quest'inflazione sfrenata viene di solito data la colpa al governo, accusato di gestire le tipografie che stampano valuta con lo scopo di spendere e spandere senza ricorrere all'espediente così impopolare di alzare le tasse.

Ma come fatto notare in precedenza, l'unica forma di denaro che il governo americano emette sono le monete metalliche.

Nei paesi in cui la banca centrale è stata nazionalizzata, il denaro cartaceo potrebbe essere emesso dal governo insieme al denaro metallico, ma le banconote rappresentano solo una piccolissima percentuale dell'offerta monetaria.

In Inghilterra, paese nel quale la Banca centrale fu nazionalizzata dopo la seconda guerra mondiale, le banche private continuano a creare il 97 per cento dell'offerta monetaria sotto forma di prestiti9.

L'inflazione sui prezzi è solo uno dei problemi di questo sistema di creazione privata del denaro. Un altro problema è che le banche creano solo il capitale ma non l'interesse necessario per restituire il prestito.

Poiché virtualmente l'intera offerta monetaria è creata dalle banche stesse, nuovo denaro deve essere continuamente immesso sul mercato per pagare l'interesse dovuto ai banchieri. Un dollaro prestato al tasso d'interesse del 5 per cento diventa 2 dollari tra 14 anni. Questo vuol dire che l'offerta di moneta deve raddoppiare ogni 14 anni solamente per coprire l'interesse dovuto sul denaro esistente all'inizio di questo ciclo di 14 anni.

Le cifre della Federal Reserve confermano che dal 1959, anno in cui la Fed ha iniziato a fornire i dati10, l'M3 è raddoppiato, e anche più, ogni 14 anni. Ciò significa che, ogni 14 anni, le banche convogliano in interessi tanto denaro quanto ne era presente nell'intera economia 14 anni prima. Questo tributo viene pagato per dare a prestito qualcosa che le banche in realtà non dovevano prestare, creando forse il più grosso imbroglio mai perpetrato poiché ora colpisce l'intera economia globale.

La privatizzazione del denaro è la causa fondamentale della povertà, della schiavitù economica, dei governi senza fondi e di una classe dominante oligarchica che si oppone ad ogni tentativo di farle allentare la stretta sulle redini del potere. Il problema può essere risolto solamente invertendo il processo che lo ha creato.

Il Congresso deve riprendersi il potere Costituzionale di emettere il denaro della nazione. L'attività bancaria della "riserva frazionaria" deve essere eliminata, limitando le banche a prestare solo fondi pre-esistenti. Se il potere di creare denaro ritornasse al governo, il debito federale potrebbe essere estinto, le tasse potrebbero essere ridotte drasticamente e potrebbero essere estesi i programmi necessari per il governo.

Contrariamente a quanto comunemente si è portati a pensare, l'estinzione del debito federale con nuove banconote emesse dal governo degli Stati Uniti non sarebbe un pericolo per l'inflazione perché i titoli del governo sono già compresi nell'indicatore più ampio dell'offerta monetaria.

I dollari sostituirebbero semplicemente le obbligazioni, lasciandone il totale invariato. Se il debito federale degli Stati Uniti fosse stato estinto nell'anno fiscale 2006, i risparmi governativi per non dover più pagare interessi sarebbero stati di 406 miliardi di dollari, sufficienti per cancellare il deficit di bilancio di 390 miliardi di dollari di quell'anno e con ulteriore denaro da tenere da parte. Il budget potrebbe essere raggiunto con le tasse, senza creare denaro dal nulla come può accadere con le tipografie nazionali o con le registrazioni contabili dei prestiti effettuati dalle banche.

Tuttavia, parte del denaro creato dalle tipografie potrebbe essere davvero un toccasana per l'economia. Sarebbe grandioso se questo fosse utilizzato per scopi produttivi come la creazione di nuovi beni e servizi, piuttosto che per scopi non produttivi come il pagamento dell'interesse sui prestiti. Quando l'offerta (beni e servizi) cresce insieme alla domanda (moneta), tutto rimane in equilibrio e i prezzi rimangono stabili.

Potrebbe essere aggiunto nuovo denaro senza creare inflazione sui prezzi fino a raggiungere la piena occupazione.

In questo modo il Congresso potrebbe finanziare quei programmi di cui si sente una forte necessità, come lo sviluppo di fonti di energia alternative e l'estensione della copertura sanitaria e, nel contempo, ridurre le tasse.

___________________

1 Wright Patman, A Primer on Money (Government Printing Office, preparato per il sottocomitato per la Finanza Interna, Camera dei Rappresentanti, Comitato banche e valute, 88° Congresso, seconda sessione, 1964).

2 vedi Federal Reserve Statistical Release H6, "Money Stock Measures," http://www.federalreserve.gov/releases/H6/20060223 (23 febbraio 2006); "United States Mint 2004 Annual Report," http://www.usmint.gov; Ellen Brown, Web of Debt, http://www.webofdebt.com (2007), capitolo 2.

3 "A Landmark Decision," The Daily Eagle (Montgomery, Minnesota: 7 febbraio 1969), ristampato in parte in P. Cook, "What Banks Don't Want You to Know," www9.pair.com/xpoez/money/cook (3 giugno 1993).

4 vedi Bill Drexler, "The Mahoney Credit River Decision," http://www.worldnewsstand.net/money/mahoney-introduction.html.

5 G. Edward Griffin, "Debt-cancellation Programs," http://www.freedomforceinternational.org (18 dicembre 2003).

6 nella prefazione del libro di Irving Fisher, 100% Money (1935), ristampato da Pickering and Chatto Ltd. (1996).

7 citato in "Someone Has to Print the Nation's Money . . . So Why Not Our Government?", Monetary Reform Online, ristampato da Victoria Times Colonist (16 ottobre 1996).

8 Chicago Federal Reserve, "Modern Money Mechanics" (1963), in origine scritto e distributo gratuitamente dal Public Information Center of the Federal Reserve Bank of Chicago, Chicago, Illinois, ora disponibile su Internet all'indirizzo http://landru.i-link-2.net/monques/mmm2.html Patrick Carmack, Bill Still, The Money Masters: How International Bankers Gained Control of America (video, 1998), testo su http://users.cyberone.com.au/myers/money-masters.html.

9 James Robertson, John Bunzl, Monetary Reform: Making It Happen (2003), http://www.jamesrobertson.com, pagina 26.

10 Consiglio di amministrazione della Federal Reserve, "M3 Money Stock (serie sospesa)," http://research.stlouisfed.org/fred2/data/M3SL.txt.

___________________

Ellen Brown, dottore in giurisprudenza, ha sviluppato le proprie abilità di ricerca come avvocato seguendo cause legali a Los Angeles. In "Web of Debt", il suo ultimo libro, traduce queste abilità in un'analisi sulla Federal Reserve e sulla "fiducia monetaria", mostrando come questo cartello privato abbia usurpato il potere di creare moneta, e spiegando come il popolo se lo possa riprendere. Tra gli undici libri della Brown possiamo annoverare il bestseller "Nature's Pharmacy", scritto in collaborazione con la dottoressa Lynne Walker, che ha venduto 285.000 copie.


traduzione di JJules


04/09/2007 : signet@work : sandro pascucci : www.signoraggio.com v.0.5
[http://www.signoraggio.com/signoraggio_ingannodeldollaro.html]