26.10.06

Nasce la lobby delle colombe
Maurizio Blondet
25/10/2006
George Soros

STATI UNITI - Pare che George Soros abbia deciso dopo la guerra israeliana contro Hezbollah e la distruzione del Libano: per il bene di Israele, occorre una nuova lobby ebraica negli Stati Uniti.
Che prenda le distanze dai neocon israelo-americani, e promuova, presso il potere americano, anziché la guerra perpetua alla Leo Strauss, il ritorno a una pace negoziata e una soluzione a «due Stati» con i palestinesi.
Soros sta profondendo denaro nella iniziativa.
La difficoltà pare essere quella di trovare un sufficiente numero di ebreo-americani abbastanza influenti e abbastanza colombe.
Quelli fino ad oggi aderenti sono figure di secondo piano: David Elcott, direttore di un Israeli Policy forum; Debra DeLee, presidente di American for Peace Now, un rabbino David Saperstein che dirige un Religious Action Center of Reform Judaism (ossia un esponente dell’ebraismo «riformato», filo-luterano, un tempo egemone in USA, ma che ha perso terreno e seguaci in favore dei fanatici Lubavitcher, il movimento oggi dominante), nonché Mort Halperin, uno dei direttori dell’Open Society Institute, la fondazione dello stesso Soros che promuove la «democrazia all’Est», nonché l’eutanasia e la liberalizzazione delle droghe: un dipendente del finanziere ebreo-ungherese.
Il solo simpatizzante che abbia un passato politico di rilievo pare essere Jeremy Ben-Ami, che è stato consigliere di Bill Clinton.
La nuova lobby, come la vecchia, avrà a cuore Israele più degli USA, di cui tutti costoro sono cittadini: «E’ Israele che ci sta profondamente a cuore, e il conflitto in Libano ha mostrato i rischi che Israele corre, se non arriva alla pace il più presto possibile», dice Ben-Ami.
E Soros: «Va interrotto questo circolo vizioso di violenza crescente».
L’analisi di costoro, che circola da tempo sottobanco fra i moderati e i preoccupati, è interessante. L’estremismo neocon della lobby ebraica dominante in USA (l’AIPAC, American Israeli Political committee, e le sue varie filiazioni e collegate) favorisce l’emergere alla guida dello Stato ebraico di estremisti pericolosi, proprio perché garantisce - con la sua presa totale sui parlamentari USA e sulla Casa bianca - l’appoggio cieco degli Stati Uniti ad ogni aggressione e violazione israeliana. Insomma i due estremismi si rafforzano a vicenda, non incontrano limiti nella Casa Bianca, e si spingono l’un l’altro ad azioni sempre più azzardate e irreparabili.


«Costoro (i neocon ebrei) hanno costruito un ghetto di Varsavia mentale» fra i giudeo- americani, ha denunciato Norman Birnbaum, già professore alla Georgetown University.
Birnbaum è uno dei primi 150 firmatari di una lettera aperta inaudita, che accusa esplicitamente la lobby ebraica dei falchi di controllare il discorso pubblico in America con metodi e intimidazioni da «vigilantes».
Di fatto, un regno del terrore.
Nelle università, si legge nel documento, «studenti vengono arruolati come ‘informatori’contro i loro insegnanti».
Se un insegnante parla a favore dei palestinesi, gli studenti-delatori avvertono chi di dovere, e «le università ritenute non abbastanza filo-israeliane vengono assoggettate a pressioni da parte dei governi degli Stati e da donatori privati», che minacciano di tagliare i fondi agli istituti.
Quanto al terrore che la lobby impone al sistema politico americano, la lettera chiede retoricamente: «Qual’ è l’ultima volta in cui abbiamo sentito un qualunque candidato, a qualunque ufficio pubblico, non professare il suo ardente attaccamento allo Stato di Israele?».
Sottinteso: nessuno osa farlo, altrimenti la sua carriera politica finisce lì.
Il coraggio di firmare una simile lettera è venuto a 150 prominenti ebrei accademici, ex diplomatici ed alti funzionarti di Stato dopo la denuncia di Tony Judt.
Ne abbiamo parlato (1): questo storico ebreo britannico, assai critico sul Reich isrealiano, che doveva tenere una conferenza nella sede del consolato polacco a New York, è stato impedito di parlare perché la Anti-Defamation League aveva telefonato ai polacchi minacciandoli di «esporli in tutti i giornali come antisemiti».
Il consolato aveva cancellato l’incontro.
Judt ne aveva scritto ai colleghi ebreo-americani di questa censura occulta basata sull'intimidazione: «Spero che troviate la cosa inquietante e agghiacciante, come la trovo io».
Ma in realtà, un numero crescente di ebrei non accecati dall’ideologia di Leo strauss si accorgono che l’atmosfera massicciamente pro-giudaica sta cambiando anche in USA, nonostante il ferreo controllo dell’AIPAC.
Gli indizi non mancano.


Lo studio dei due rispettati politologi Walt e Mearsheimer intitolato «The Israeli lobby», benchè abbia dovuto essere pubblicato in Gran Bretagna per paura degli editori americani, ha rotto il tabù che vieta di parlare dei costi finanziari, politici e morali per gli USA del sostegno incondizionato ad Israele.
La ferocia degli attacchi israeliani contro il Libano ha distrutto l’aura di superiorità morale dello Stato ebraico a livello internazionale - non è stato possibile ripetere la propaganda per cui Giuda «si sta solo difendendo» - e ciò comincia a riflettersi nel discorso pubblico americano, ai livelli alti.
«Quando noi forniamo a Israele bombe a frammentazione, è un atto di pace e amicizia internazionale; quando l’Iran fornisce armi a Hezbollah, è un atto di terrore», ha ironizzato Zbigniew Brzezinsky in un discorso tenuto all’American Foundation: «Bush dovrebbe dire: la politica sul Medio Oriente la faccio io, o la fa l’AIPAC?».
L’ex presidente Jimmy Carter ha appena pubblicato un libro dal titolo «Palestine: peace, no apartheid» dove denuncia appunto l’apartheid praticato dallo Stato ebraico.
Persino Bob Woodward, il giornalista del Washington Post noto maggiordomo dei poteri forti, ha scritto che, secondo Colin Powell, il vice-ministro alla Difesa Paul Wolfowitz, e l’altro sottosegretario Douglas Feith «avevano stabilito l’equivalente di un governo separato» nel Pentagono, «ciò che Powell chiamava ‘la Gestapo’».
Una prima, velata denuncia del fatto indicibile: quegli ebrei neocon (Feith lo è come Wolfowitz) hanno fatto un colpo di Stato, per trascinare l’America in ciò che William Odom ha definito «il più grave disastro militare della storia degli Stati Uniti», la guerra in Iraq.
E Odom è ebreo, esperto militare e ha diretto la National Security Agency (NSA) sotto Reagan.
Può essere «l’inizio di una perestroika» americana, ha scritto Philipp Weiss, il columnist del New York Observer: il potere ebraico non è più in grado di controllare con il terrore totalitario il discorso pubblico.


Ma c’è un altro motivo all’iniziativa di Soros, più profondo e inconfessato.
L’AIPAC è da anni sotto inchiesta per spionaggio a favore di Israele.
Due suoi lobbisti di primo piano, Steve Rosen e Keith Weissmann, sono stati filmati, intercettati e colti sul fatto dall’FBI mentre si facevano consegnare documenti segreti del Pentagono da un funzionario di questo, Larry Franklyn.
E sono stati denunciati alla magistratura.
E stranamente, l’inchiesta non è stata soppressa, anzi procede e si allarga.
Una ex-analista del Pentagono, Karen Kwiatowski, ha rivelato che ufficiali isrealiani - dunque di uno Stato straniero - avevano accesso senza limiti all’Office of Special Plans (la «Gestapo» annidata dentro il Pentagono, il cui capo era Richard Perle) e partecipavano alle riunioni più segrete e al più alto livello senza mai firmare a prova della loro presenza: cosa che, se provata, potrebbe portare a processi per alto tradimento. (2)
Secondo Justin Raimondo (3), l’FBI starebbe indagano anche su pressioni che l’AIPAC e persino Haim Saban (miliardario ebreo, capo di un gruppo di media) avrebbero fatto su Nancy Pelosi, la portavoce dei democratici) perché salvasse Jane Harman, una deputata democratica coinvolta nella faccenda di spionaggio dell’AIPAC.
Insomma l’AIPAC rischia qualcosa.
Come minimo, la reiscrizione come lobby: non più «americana», ma «di uno Stato estero».
Ciò segnerebbe un indebolimento della sua presa sulle istituzioni USA e una diminuito accesso al potere americano e ai suoi segreti.
Anche per questo, e forse soprattutto per questo, Soros si sta affrettando ad allestire una «lobby delle colombe» per Israele: come scialuppa di salvataggio e lobby di riserva nell’interesse del solo Stato che gli sta a cuore.
In questa atmosfera, va segnalata la posizione di Gore Vidal, il noto scrittore ebreo-americano che vive in Italia.
«Non credevo di vivere tanto da assistere alla cancellazione della Magna Carta», ha detto disgustato dopo il varo della legge sui tribunali speciali per «enemy combatants».
Ed ha definito il governo Bush «un colpo di Stato in cui abbiamo perso la repubblica». (4)
Ma la novità viene dopo.


A proposito dell’11 settembre, Gore Vidal ha detto che «sarebbe un momento ideale per aprire un’inchiesta».
E alla domanda se secondo lui Bush e Cheney potrebbero fare un «altro» attentato terroristico false flag per poter risollevare i loro sondaggi in calo, gridare al lupo islamista e unire il Paese di nuovo contro il terrorismo, lo scrittore ha risposto, come avesse informazioni dirette: «Avevano in mente di farlo, diciamo. Ma ora non vedo come possano. I nostri militari non glielo lascerebbero fare. [Il gruppo di potere] ha troppo antagonizzato i militari».
Ed ha concluso: «Per la prima volta sono un poco ottimista, sento che la corrente sta mutando».

Maurizio Blondet


Note
1)
«Un Reich pedofilo?», su Effedieffe, 5 ottobre 2006. Ecco la lettera che Tony Judt ha mandato al New York Sun: «… l’incontro è stato cancellato perché il consolato di Polonia è stato minacciato dall’Anti-Defamation League. In una serie di telefonate Abe Foxman, il presidente della ADL, ha intimato loro di non ospitare nessuna riunione in cui c’entrasse Tony Judt. Se non rinunciavano, ha avvisato, egli avrebbe smascherato la collaborazione di polacchi con antisemiti anti-israeliani (ossia il sottoscritto) su tutte le prime pagine di tutti i quotidiani della città. Si sono piegati, e Network 20/20 è stato costretto a cancellare l’incontro. Comunque la pensiate sul Medio Oriente, io spero che troviate la cosa grave e paurosa come la trovo io. Questi sono, o erano, gli Stati Uniti d’America».
2) Karen Kwiatowski, «Open door policy - a strange thing happened on the way to the war», American Conservative, 19 gennaio 2004.
3) Justin Raimondo, «The lobby unmasked - the AIPAC spy scandal has many tentacles», Antiwar.com 23 ottobre 2006. Articolo di cui consigliamo la lettura integrale.
4) Paul J. Watson, «Gore Vidal assured military would prevent staged terror», PrisonPlanet, 24 ottobre 2006. Anche di questo testo si raccomanda la lettura integrale. Notevoli le accuse di Vidal ai media americani, che non hanno vegliato sulle libertà. «Our greatest difficulty at the moment is that our media is totally corrupted - starting with the New York Times - the media belongs to our rulers. In the old days when something ghastly went wrong you could count on journalists writing something about it... there are no voices expressing disagreement». Vidal dovrebbe ringraziare di questo la nota lobby intimidatrice. Ma non gli si può chiedere troppo. Ha già ammesso che l’11 settembre «è stato lasciato accadere di proposito».


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