22.10.08

Economia delle banche
Patrizio di Cursi – Ascensione Globale - 20 ottobre 2008
Tratto da www.signoraggio.info

I media concentrano l'attenzione sul valore di listino di un titolo o di un indice e parlano di denaro che brucia se i prezzi dei titoli scendono.
Il problema non è il prezzo di listino e il denaro non brucia. Ciò che accade è che gli scambi di titoli avvengono a prezzi più bassi del normale. Quindi il denaro non brucia ma passa di mano semplicemente, lasciando traccia aggregata nel listino. In ogni transazione c'è un compratore e un venditore. Uno che ci guadagna e uno che ci perde. Insomma il denaro va nelle tasche di qualcun altro.

Nei casi di mercato al ribasso ci si arricchisce appropriandosi di titoli in caduta libera. Nel caso di un mercato al rialzo si vendono i titoli acquistati a prezzi stracciati. Quindi parlare di roghi di moneta è una cavolata. D'altronde il valore delle aziende, in particolare di quelle che non fanno né finanza né banca, non è determinato dai corsi di borsa, ma dai valori economico-patrimoniali che nulla hanno a che fare con la volatilità di questi giorni. Teoricamente un'azienda ben capitalizzata e che dà profitti può tranquillamente fregarsene di vedere prossime allo zero le sue azioni.

Assistiamo ciononostante ad una disinformazione generalizzata. Gli effetti della quale sono stati: furti legalizzati di denaro risparmiato; incontri internazionali per vedere come aumentare il controllo dell'economia; l'intervento dello stato nella banca e nella finanza.
Su quest'ultimo punto c'è da riflettere. Non sono gli stati i proprietari e quindi i responsabili delle banche: perché allora spetta a loro garantire che non falliscano, immettere liquidità nelle banche meno virtuose? Gli stati hanno donato la sovranità monetaria e la politica monetaria proprio al sistema bancario. Non mi sembra che nei momenti difficili di uno stato una banca si sia mai ripromessa di garantire tutti i risparmiatori dal fallimento di uno stato.

Presupposto: lo stato si finanzia con le tasse che paghiamo (diciamo che il 50% del reddito nazionale va a finire in tasse). Secondo presupposto: usiamo una moneta che è emessa dalle banche. Terzo presupposto: lo stato come collettività e i singoli cittadini sono indebitati col sistema bancario. Quarto presupposto: il risparmio accumulato dalle famiglie è nelle mani delle banche che lucrano già abbastanza per la gestione del risparmio. Quinto presupposto: lo stato ha un debito pubblico da cui non può liberarsi e che aumenta giorno per giorno.
Nonostante tutto questo, gli Stati hanno deciso di aiutare le banche. Da quando un debitore si permette il lusso di "prestare" soldi al creditore? Un debitore si libererebbe prima del debito che ha accumulato. Invece gli stati prendono soldi a debito o dalle tasse per aiutare le banche.

Il risultato di questi prestiti facili da parte degli Stati è l'impoverimento delle nazioni. Meno "cash" per lo stato e per le famiglie. Lo stato si mette a fare politica monetaria. Lo stato dimentica l'economia reale e l'insegnamento keynesiano da un lato e ripudia l'economia di mercato.
In Italia si dice che viviamo in un sistema misto tra economia sociale ed economia di mercato. In questi giorni si sta decidendo di sostenere sempre di più le banche. Niente mercato niente welfare, ma economia delle banche.

7.10.08

Un omaggio all' esimio Professor Giacinto Auriti



Per l’Europa dei Popoli, e non quella dei banchieri (martedì 29 giugno 2004)

 

Per l’Europa dei Popoli, e non quella dei banchieri Ca ira Ca ira Ca ira

(di Giacinto Auriti)

 

“L’Europa dei banchieri contro la Costituzione”:

 

esattamente con questo titolo (cfr. Il Tempo, 22 giugno 2004, p.7) o, con titoli analoghi, la grande stampa ha dato la notizia sconvolgente che è iniziata la fase conclusiva della Rivoluzione Francese.

 

Noi l’avevamo già preannunciata su Abruzzopress (3 giugno ’04, n.180) con queste testuali parole:

 

“Lo Stato di diritto ha considerato nel proprio ordine costituzionale, solo i tre poteri: legislativo, giurisdizionale ed esecutivo. Il quarto potere della sovranità monetaria se lo sono fagocitato, nel silenzio, le banche centrali, S.p.A con scopo di lucro… ecco perché dobbiamo completare la Rivoluzione Francese: la sovranità monetaria va attribuita allo Stato – come Quarto Potere Costituzionale – e tolta alla banca centrale. Non è più tollerabile che, in uno Stato di diritto, la funzione costituzionale della sovranità monetaria sia esercitata da una S.p.A. con scopo di lucro... L’urlo del Ca ira deve tornare sulle piazze, davanti alle sedi delle banche centrali e nei Tribunali. Ci dobbiamo riprendere la proprietà dei soldi nostri.”

 

Quando la governance economica programma “maggiori poteri alla Commissione nella sorveglianza dei conti pubblici…” pone necessariamente un conflitto di interessi tra la volontà del Padrone (la banca centrale) e quella dei camerieri (i governi).

Ha denunciato esplicitamente l’eventualità di questo conflitto Mario Borghezio:

 

“Questa è una costituzione per l’Europa dei banchieri. Noi combattiamo invece per l’Europa dei Popoli…”

 

La diagnosi è esatta. Manca la terapia. Si impone la necessità di uscire dalle formule approssimative e generiche per proporre:

 

1)          l’attribuzione allo Stato della sovranità monetaria come quarto potere costituzionale;

2)          la proprietà della moneta al Popolo come reddito di cittadinanza;

3)          l’emissione di moneta senza riserva, di proprietà del portatore, come oggetto di diritto sociale (a norma del 2° co. dell’art. 42 della Costituzione Italiana);

4)          poiché il mercato è saturo sia di beni che di moneta quando i prezzi coincidono con i costi di produzione, solo quando questa coincidenza si verifica, va sospesa sia la produzione dei beni che l’emissione di moneta in attuazione del quarto potere costituzionale della sovranità monetaria;

5)          va costituito il Ministero per il risarcimento dei danni da usura (come i danni di guerra);

6)          va sancita, con provvedimento di urgenza la moratoria dei debiti bancari e fiscali, perché basati sull’illecito del debito da signoraggio che ha trasformato il portatore da proprietario in debitore della propria moneta;

7)          dichiarata la moneta di proprietà dei cittadini, lo Stato deve trattenere all’origine, all’atto dell’emissione, quanto necessario per esigenze di pubblica utilità, eliminando il 100% dei prelievi fiscali. Questi fondamentali principi normativi si desumono dalla definizione del valore come rapporto tra fasi di tempo e conseguentemente del valore monetario come valore indotto. Solo su questi principi la governance economica proposta nel patto costituzionale europeo potrà realizzare l’Europa dei Popoli. Altrimenti si continuerà nella tradizione dei camerieri dei banchieri in cui la sovranità monetaria è retta dalla banca centrale, S.p.A. con scopo di lucro. L’urlo del Ca ira deve tornare per scrivere la pagina conclusiva della Rivoluzione Francese. Ci dobbiamo riprendere la proprietà dei soldi nostri.

 

I politici camerieri dei banchieri: perché? (martedì 8 giugno 2004)

 

I politici camerieri dei banchieri: perché? Giacinto Auriti

 

Vi sono delle parole che hanno un tal peso specifico che ci costringono addirittura a rileggere la storia.

Quando Ezra Pound riecheggia il famoso messaggio concepito dal colonnello Jefferson:

 

“I politici sono camerieri dei banchieri” ci costringe innanzitutto a prenderne atto, in secondo luogo ad evidenziarne le cause. La ragione di questa clamorosa verità sta nel fatto che la Rivoluzione Francese non si è fermata “alla meta” (secondo la abituale regola), ma ai “tre quarti”. Lo stato di diritto ha considerato, infatti, nel proprio ordine costituzionale, solo i tre poteri: legislativo, giurisdizionale ed esecutivo.

 

Il quarto potere della sovranità monetaria se lo sono fagocitato nel silenzio le banche centrali, S.p.A. con scopo di lucro. Poiché – come insegna l’antica saggezza marchigiana – “li quatrì fa piove l’acqua pe l’in su” (“i soldi fanno piovere l’acqua in salita”) ci si spiega perché le lobbies bancarie hanno assunto il comando di tutti gli stati costituzionali. (1) Tutti gli storici hanno interpretato i tempi dello stato di diritto come una forma di progresso, addirittura come una conquista di civiltà irrinunciabile spacciando per democrazia, l’usurocrazia.

 

Nessuno ha avvertito la grave decadenza causata dal fatto che il portatore della moneta era stato surrettiziamente trasformato in debitore dei propri soldi. Ecco perché dobbiamo completare la Rivoluzione Francese: La Sovranità Monetaria va attribuita allo Stato – come Quarto Potere costituzionale – e tolta alla banca centrale. Non è più tollerabile che, in un c.d. stato di diritto, la funzione costituzionale della sovranità monetaria sia esercitata de una S.p.A. con scopo di lucro.

 

Non è vero che lo stato costituzionale rappresenti un progresso rispetto alle monarchie cattoliche della Vecchia Europa. I re avevano tutti la sovranità monetaria perché battevano moneta e nessuno poteva essere “cameriere del banchiere”. Sono diventati camerieri solo quando hanno accettato in prestito dalle banche centrali S.p.A. la moneta-debito (c.d. nominale).

 

L’urlo del “Ca ira” deve tornare sulle piazze, davanti alle sedi della banche centrali e nei Tribunali. Ci dobbiamo riprendere la proprietà dei soldi nostri.

 

(1) Recentemente, come in Italia, anche la Germania ha eletto alla presidenza della Repubblica un autorevole banchiere.


La rarità monetaria vista dall’usuraio e dal contadino (domenica 4 aprile 2004)

(di Giacinto Auriti)

 

Un errore strategico le riduzioni fiscali proposte da Pedro Solbes sul Corriere della Sera.

La rarità monetaria vista dall’usuraio e dal contadino Giacinto Auriti.

 

Pedro Solbes (Commissario uscente dell’UE) ha detto che “in generale le riduzioni fiscali vanno coperte con tagli di spesa, senza peggiorare la situazione del deficit e del debito” (Corriere della Sera, 2-4-’04, p.3). Ha proposto così, all’attenzione dell’Europa, un errore strategico, col falso problema della ingiustificata salvaguardia della rarità monetaria. E si sa che gli errori strategici sono i più deleteri perché portatori di morte.

 

Poiché ogni unità di misura deve avere la qualità corrispondente a quella dell’oggetto misurato, come il metro ha la qualità della lunghezza perché misura la lunghezza, la moneta deve essere rara perché sono rari, c.d. “economici”, i beni di cui misura il valore. Il problema della rarità monetaria incontrollabile, esisteva quando la moneta era d’oro o convertibile in oro perché la rarità dell’oro era condizionata dalla legge fisica della sua esistenza e dall’alto costo di produzione del metallo a caratura programmata.

 

Con l’abolizione della convertibilità e della stessa riserva (fine degli Accordi di Bretton Woods, 15 agosto 1971) la rarità monetaria non è più condizionata da leggi fisiche, ma programmata, a costo nullo, dalla banca centrale (che stabilisce la quantità ed i tempi dell’emissione monetaria in prestito e/o il ritiro di liquidità dal mercato con i prelievi fiscali ed il saldo dei crediti). Poiché il potere d’acquisto della moneta è condizionata dalla legge della rarità, si impone la necessità di stabilire se è la rarità della moneta che deve essere condizionata dalla rarità dei beni, o se è la rarità dei beni che deve essere condizionata dalla rarità della moneta. Per rispondere a questo quesito è opportuno portare un esempio elementare.

 

Quando voi andate a comprare un paio di scarpe commisurate i piedi alle scarpe o le scarpe ai piedi? L’usuraio pretende di imporre scarpe strette e quindi, se necessario, tagliare i piedi come propone il Governo Berlusconi: “…E per far cassa il governo studia il taglio degli aiuti alle imprese”(!!!) (cfr. Corriere della Sera, 2 Aprile ’04, p.3).

 

Mentre l’usuraio vuole controllare piedi, più grossi possibili, con le scarpe più strette possibili, per aumentare il più possibile il contenuto podologico delle scarpe – cioè il potere d’acquisto della moneta – il contadino, giustamente, pretende scarpe comode a giusta misura dei piedi il che significa adeguare la rarità della moneta alla rarità dei beni ed agli incrementi produttivi e non viceversa. In queste circostanze abbiamo la possibilità di giudicare tutti: governi, ministri, magistrati, sindacati ecc. per distinguere chi sta dalla parte dell’usuraio e chi dalla parte del contadino.

 

Merita di essere citato in proposito un fondamentale insegnamento di Ezra Pound:

 

“Dire che uno stato non può perseguire i suoi scopi per mancanza di denaro è come dire che un ingegnere non può costruire strade per mancanza di chilometri”.

 

Emerge comunque la necessità di sostituire alla banca centrale la funzione monetaria come quarto potere costituzionale dello stato. Come si sa, la banca centrale è una S.p.A con scopo di lucro e quando si pretende di gestire la sovranità monetaria con scopo di lucro, si cade necessariamente nella logica dell’usuraio e del calzolaio che promuove la politica delle “scarpe strette”. Su questa linea, purtroppo, sono tutti unanimemente d’accordo.

L’unica differenza che distingue Berlusconi, Fini, Tremonti, Maroni, Solbes e l’U.E. sta solo nello stabilire il grado di “strettezza delle scarpe”. Speriamo che ci consentano di camminare, sia pure zoppicando.

 

NB - L’argomento della “rarità e sovranità monetaria” sarà trattato nel Convegno del Sindacato Antiusura SAUS, alle ore 9,30 del 18 Aprile ’04, al Cinema Tiziano, v. Guido Reni 2 – Roma. a http://www.abruzzopress.it/newsletter.htm


Come liberare il Continente dal signoraggio della grande usura (martedì 13 aprile 2004)

 

Una proposta al Ministro Tremonti per una Democrazia integrale Come liberare il Continente dal signoraggio della grande usura (di Giacinto Auriti)

 

Con la sostituzione della moneta nominale alla moneta d’oro, non è cambiata solamente la struttura merceologica e giuridica del simbolo, ma anche la legge della rarità. Che la moneta debba essere necessariamente rara, emerge dalla caratteristica propria di ogni unità di misura che deve avere la qualità corrispondente a quella dell’oggetto misurato. La moneta è rara perché sono rari (economici) i beni di cui misura il valore. Ciò premesso è evidente che è la rarità della moneta che deve essere condizionata dalla rarità dei beni e non viceversa. Quando Pedro Solbes contesta all’Italia il diritto di superare il 3% del deficit pubblico sul PIL (prodotto interno lordo) pretende di condizionare gli incrementi produttivi alla rarità monetaria. Questo episodio è la prova che alla legge fisica della rarità dell’oro, si è sostituito l’arbitrio bancario che ha voluto ed imposto il limite del 3% suddetto.

 

L’usuraio ha interesse a condizionare la rarità del PIL alla rarità della moneta, perché ha la proprietà della moneta – il c.d. signoraggio – sin dall’emissione, oltre all’equivalente credito per averla emessa, a costo nullo, prestandola. Quando il Ministro Tremonti reagisce alla minaccia di “early worning” (primo avviso) parlando di ”procedura atipica” senza precedenti, da la prova che l’arbitrio dell’usura domina la sovranità monetaria.

E le parole di un Ministro non sono sufficienti a fermarla.

 

Si impone pertanto la necessità di instaurare la “funzione monetaria come quarto potere costituzionale dello stato”. Poiché il Trattato di Maastricht considera solo la fase dell’emissione, al quarto potere dello Stato vanno attribuite tutte le altre competenze che sono:

a)     la programmazione del PIL al quale vanno adeguati gli incrementi monetari,

b)     l’accettazione della moneta che teoricamente potrebbe essere rifiutata se non adeguata alle esigenze sociali ed agli incrementi produttivi,

c)     l’acquisto a titolo originario della proprietà della moneta a favore dei cittadini europei come “reddito di cittadinanza, proprietà del portatore, senza riserva”,

d)     l’interpretazione dell’art.107 del T.d.M. nel senso di condizionare gli incrementi di liquidità monetaria agli incrementi produttivi e non viceversa,

e)     poiché la proprietà della moneta va attribuita a chi ne crea il valore accettandola, va esplicitamente esclusa la possibilità che la Banca Centrale Europea emetta moneta prestandola perché, in tal caso, gli Stati Europei sarebbero espropriati ed indebitati del proprio denaro senza corrispettivo,

f)       il riconoscimento del principio che il valore dell’Euro nasca, all’atto dell’accettazione ed a causa dell’accettazione (e senza riserva), di proprietà del portatore, emerge anche dalla eliminazione della dichiarazione cartolare tradizionale: “pagabile a vista… f.to Il Governatore della banca centrale”, che sull’Euro non appare più.

 

Su queste premesse proponiamo al Ministro Tremonti di promuovere l’instaurazione della funzione monetaria come quarto potere costituzionale in tutti gli Stati Europei, in sostituzione delle rispettive banche centrali nazionali e che sia sostituita alla B.C.E. il quarto potere costituzionale dell’U.E. come prova storica della liberazione continentale dal signoraggio della grande usura: e dell’avvento di una democrazia integrale in cui i Popoli Europei non abbiano solo la sovranità politica, ma anche quella monetaria..



1.10.08

La fine del secolo americano

Henry Paulson ha presentato un piano di 700 miliardi di $ per salvare il sistema bancario americano, chiedendo ai G7 di adottare un’iniziativa analoga a livello mondiale. Dominique Strauss-Khan, ha rettificato l’entità del buco imputabile ai subprime - sarebbero 1.300 miliardi di $ - ed ha chiesto la collaborazione dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali di tutto il mondo per ridisegnare l’architettura del sistema finanziario internazionale.

Nel mese di febbraio il Fondo Monetario Internazionale (FMI) stimava a 1.100 miliardi di $ le perdite del settore finanziario dovute alla crisi dei mutui subprime americani e prevedeva un brusco rallentamento dell’economia globale. Il suo direttore generale, Dominique Strauss-Khan, promise anche di approfondire, con uno studio appropriato, l’impatto sistemico del rialzo dei prezzi delle materie prime, in particolare del petrolio. Nel mese di giugno, in seguito ad un’esplicita richiesta del G8 di Osaka, ribadì il suo impegno a relazionare in autunno. La richiesta del G8 non piacque al segretario di Stato americano Hank Paulson, che accusò i ministri di Francia e Italia, fautori dell’iniziativa, di non conoscere il reale funzionamento dei mercati e di parlare troppo facilmente di speculazione. A tranquillizzarlo bastò l’estrema genericità dell’impegno preso da Dominique Strauss-Khan. Oggi, dopo il fallimento della Lehman Brothers, i due compari si ritrovano al capezzale dell’economia globale, cercando di tutelare gli interessi dell’oligarchia finanziaria sulla pelle dei popoli.

Henry Paulson ha presentato un piano di 700 miliardi di $ per salvare il sistema bancario americano, chiedendo ai G7 di adottare un’iniziativa analoga a livello mondiale. Dominique Strauss-Khan, ha rettificato l’entità del buco imputabile ai subprime - sarebbero 1.300 miliardi di $ - ed ha chiesto la collaborazione dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali di tutto il mondo per ridisegnare l’architettura del sistema finanziario internazionale. Sono passati tanti anni da quando tre immigrati ebrei di origine tedesca – i fratelli Henry, Immanuel e Mayer Lehman – costituirono a Montgomery (Alabama) la Lehman Brothers (1850). Non era ancora una banca, ma un negozio di tessuti. All’origine di ogni grande fortuna, c’è sempre un grande crimine. Gli economisti la chiamano accumulazione originaria.
La geniale intuizione dei fratelli Lehman fu quella di sfruttare l’economia schiavista degli Stati del sud facendosi pagare in cotone grezzo, che rivendevano al nord tramite la loro filiale di New York. Durante la guerra civile (1861-65), i fratelli Lehman erano schierati su entrambi i fronti, avendo una sede in Alabama ed una a Manhattan. Finita la guerra, lucrando sul finanziamento della ricostruzione, ampliarono i loro interessi al mercato del caffé, altra materia prima coltivata con l’impiego di schiavi africani. Infine entrarono nel business delle ferrovie e della consulenza finanziaria.

Il salto di qualità, per la famiglia Lehman, avvenne grazie all’alleanza con Goldman Sachs (1906). Entrarono in tutti i settori dell’economia americana, sopravvissero alla crisi del 1929, beneficiarono della seconda guerra mondiale, parteciparono alla grande espansione delle multinazionali americane nel dopoguerra. Negli anni in cui il mondo affrontava le crisi determinate dall’aumento del prezzo del petrolio, la Lehman Brothers raggiunse il suo apogeo, grazie alla fusione con due colossi della finanza americana: Kuhn Loeb (1975) ed American Express (1984). Il quartiere generale era a Manhattan, dove occupava tre piani della torre nord nel World Trade Center. Quel fatidico 11 settembre 2001, tra le 2.974 vittime dell’attentato terroristico, ci fu anche un suo dipendente. Una sola persona, contro le 295 vittime della Cantor Fitzgerald e le 175 della Aon Corporation, altre società che avevano sede nello stesso edificio. Pare che quel giorno, per pura casualità, molti manager fossero assenti. Quello della Lehman Brothers non è soltanto il fallimento di una prestigiosa banca globale, specializzata in finanza creativa.

È il crollo definitivo e irreversibile dell’american dream, un sogno diventato incubo. Quanto sta accadendo non è una crisi come le altre, ma è la fine di un’epoca, la fine del secolo americano. In poco più di cento anni, una colonia europea è divenuta potenza mondiale. Ha vinto due guerre, ha dominato il mondo, ha sconfitto il suo apparente antagonista, continua a minacciare nemici reali e immaginari con il suo apparato militare. È servita da modello per la società multirazziale, da banca centrale per l’economia globale, da quartiere generale della strategia sionista. Ha alimentato speranze ed illusioni, ma ormai è un sistema in frantumi, un dead man walking in attesa del colpo di grazia. Il fallimento della Lehman Brothers, con tutto quello che sta accadendo, può essere paragonato al crollo del muro di Berlino (1989), che anticipò di qualche anno lo scioglimento dell’URSS (1991) per implosione della sua economia. Questo spiega la preoccupazione dell’oligarchia, non tanto per le risorse finanziarie bruciate in questa ed altre crisi, quanto i suoi riflessi sistemici.

Non è in gioco l’economia globale, termine usato per indicare un progetto più che una realtà, ma la sopravvivenza degli apparati mondialisti come sistema di potere capace di gestire la crisi. Le soluzioni proposte, anche se verranno attuate, potranno solo ritardare il grande crac. Vediamole in sintesi, partendo dalle ragioni del crollo. Senza indagare sulle deficienze strutturali del sistema capitalista, accenniamo alla causa scatenante della crisi in atto. Si chiama finanza creativa. Consiste nel prestare denaro spalmando i rischi su una miriade di titoli complessi immessi sul mercato mobiliare. Il fine è lucrare interesse, sia sui mutui che sulla negoziazione dei titoli. Usura che genera usura, come in tutte le bolle speculative che sfociano in crac. Questa volta l’ondata malefica è partita dal settore immobiliare. Per facilitare l’acquisto di case, le banche offrivano mutui fino al 100% del valore dell’immobile. I titoli rappresentativi dei mutui venivano impacchettati, insieme ad altri titoli, in obbligazioni vendute sul mercato, con due vantaggi per le banche: trasferire ad altri operatori il rischio d’insolvenza dei propri clienti e rientrare subito del denaro prestato per erogare altri prestiti. Questo gioco sporco non poteva durare a lungo. Nell’estate 2007 il mercato si è accorto che molti mutuatari non avrebbero potuto restituire i soldi ricevuti, facendo crollare, non solo le obbligazioni che contenevano mutui inesigibili, ma anche altri titoli legati a valori immobiliari. Il capro espiatorio sono state le agenzie di rating, accusate di aver minimizzato il potenziale problema, ma ormai la finanza creativa era stata smascherata.

L’idea di spalmare il rischio trasferendolo ad altri, non riguardava solo i mutui immobiliari. Molti altri impieghi delle banche erano stati impacchettati in obbligazioni vendute sul mercato: prestiti per l’acquisto di auto, carte di credito, finanziamenti di fusioni e acquisizioni. Stavolta sul banco degli imputati è finita anche la Lehman Brothers, accusata di aver cucinato i libri contabili, cioè di aver nascosto 13 miliardi di crediti ormai inesigibili. Di fronte alla prospettiva del fallimento, sono emersi due possibili acquirenti, laBank of America e la Barclays, i quali chiedevano al governo americano di sostenere la transazione con fondi federali, come aveva fatto con altre banche ed assicurazioni invischiate nel losco affare dei mutui subprime. Ci riferiamo a Fannie Mae e Freddie Mac, salvate con un piano di 200 miliardi di $, e all’American International Group (Aig), benficiaria di altri 85 miliardi di $. Ma il governo si è rifiutato, la Barclays ha ritirato la sua offerta e Bank of America ha preferito comprare Merrill Lynch. Così, alla prestigiosa Lehman Brothers, non è rimasta altra scelta che dichiarare il fallimento, scatenando il panico sui mercati finanziari. Passiamo ora ad analizzare le soluzioni prospettate. Il presidente della Federal Reserve, l’economista Ben Bernanke, ha studiato molto bene la crisi del 1929. La sua teoria è nota: per evitare una nuova grande depressione, la banca centrale può anche gettare pacchi di banconote con un elicottero. In sostanza, è quanto si vuole che avvenga.

Dieci grandi banche (Bank of America, Citibank, Barclays, Credit Suisse, Ubs, JpMorgan, Merrill Lynch, Goldman Sachs, Deutsche Bank, Morgan Stanley) hanno costituito un fondo di 70 miliardi di dollari per assicurarsi liquidità aggiuntiva. Il Tesoro americano ha varato il piano Paulson per 700 miliardi di dollari, al fine di acquistare i titoli senza valore di mercato dalle banche in difficoltà. Questi titoli saranno gestiti dal Tesoro stesso in piena autonomia, cioè assumendo gestori di fondi ed intermediari specializzati, ma soprattutto nella più totale impunità, cioè al riparo da eventuali azioni legali di risparmiatori e contribuenti. È dovuto intervenireGeorge Bush per garantire il sostegno bipartisan al piano. In questa difficile congiuntura, come è avvenuto per tutto il secolo americano, gli USA hanno dapprima esportato la crisi e poi chiesto il sostegno degli altri Paesi attraverso le istituzioni finanziarie internazionali, costituite per sostenere i loro interessi imperialisti e trasformate progressivamente in agenti dell’oligarchia mondialista. Con queste premesse, è nata l’iniziativa di Dominique Strauss- Khan. In vista della prossima riunione del Fondo Monetario Internazionale, che si terrà a Washington nel mese di ottobre, ha chiesto agli Stati di fare, al loro interno ed a livello globale, ciò che stanno facendo gli USA.

L’intervento a breve termine dovrebbe essere così articolato: iniezione di nuova liquidità, acquisizione degli attivi inesigibili, apporto di capitali a vantaggio delle banche in crisi. Un’agenzia intergovernativa dovrebbe acquisire i crediti inesigibili e detenerli fino a quando non giungono a scadenza e possono essere rivenduti senza rischi. La soluzione proposta, da tutte queste persone di grande intelligenza, è fin troppo banale: ricapitalizzare il sistema finanziario col sostegno pubblico, sia a livello statale che mondiale. Lo Stato, questo vecchio arnese messo ai margini dell’economia dai profeti del liberismo, dovrebbe ora intervenire per salvare i profitti dei banchieri. La cooperazione internazionale, rimpiazzata dalla global governance dei poteri occulti, viene ora invocata per evitare il peggio. Resta da chiedersi perché il resto del mondo dovrebbe salvare dal crollo la civiltà americana. Alcuni invocano un vago senso di responsabilità globale, quello funzionale all’attuazione del progetto mondialista. Altri l’interdipendenza economica, quella imposta con la guerra permanente. Forse un nuovo conflitto mondiale, un attacco alla Russia o all’Iran, darebbe fiato all’economia USA, come avvenne nel 1939, a dieci anni dal crollo storico di Wall Street. La teoria tardoimperialista dello scontro di civiltà col mondo arabo e le operazioni militari contro presunte centrali del terrorismo islamico sono servite a poco. Ma il secolo americano è finito. L’oligarchia è seriamente in crisi. Al crollo simbolico della Lehman Brothers seguirà l’implosione di tutto il sistema. Il vero problema, nella teoria e nella prassi rivoluzionaria, non è stabilire tra quanti anni ciò avverrà e quanta moneta sarà bruciata nel prossimo grande crac, ma è capire quanti e quali uomini resteranno in piedi tra le rovine dell’utopia mercatista per costruire un vero socialismo.

Raffaele Ragni 
Rinascita Campania

Etichette: 

http://etleboro.blogspot.com/search/label/Lehman%20Brothers