30.5.06

Israele «prevede» attentato a Berlino
Maurizio Blondet
28/05/2006
Can anyone within range of iranian missiles feel safe?!!!

Israele ha avvertito i servizi d'intelligence europei e americani di «possibili attentati durante i mondiali di calcio» di Berlino.
Lo dice l'agenzia ebraica Ynet (1), che - fatto significativo - non cita fonti israeliane, bensì il giornale Al-Watan, saudita.
Le informazioni del Mossad sono stavolta circostanziate.
Sa già chi saranno gli esecutori e chi i mandanti dell'attentato prossimo venturo a Berlino.
A compiere l'atto terroristico saranno gli Hizbullah, la formazione libanese guidata da Imad Mugniyah, che si ritiene sostenuta dalla Siria e dall'Iran e che, fra l'altro, ha obbligato al ritiro dal Libano meridionale l'esercito sionista.
Ma il mandante sarà, avete indovinato, Teheran.
Secondo il rapporto, «l'attacco terroristico è mirato a dimostrare che Teheran è capace di rappresaglia se attaccata».
Dunque è pronta anche la motivazione e lo scenario tipo 11 settembre, per giustificare anche la prossima guerra per Israele.
Infatti, veniamo informati, dopo l'avvertimento israeliano e per contrastare il pericolo imminente, è stata allestita «una sala operativa congiunta USA-Europa».
Ma non a Berlino, teatro dell'attentato profetizzato.


«A questo fine» (ossia di sventare l'attentato), dice Ynet, «due portaerei americane insieme a una nave francese sono in rotta verso l'Oceano Indiano e il golfo Persico».
Stranamente, l'articolo dà voce a «ufficiali USA contrari all'attacco all'Iran», i quali temono «che l'amministrazione Bush approfitterà di tale attacco terroristico per lanciare un'offensiva che liquiderà la crisi nucleare iraniana e aumenterà il favore presidenziale nei sondaggi».
«Questi ufficiali aggiungono che anche se gli attacchi terroristici fossero organizzati da una terza parte, sarebbero sempre usati per giustificare l'attacco all'Iran».
E' proprio così.
Dick Cheney ha già stilato dei «contingency plans» che espressamente prevedono l'aggressione all'Iran come ritorsione a qualunque attentato, da chiunque commesso.
Al-Watan, citato da Ynet, aggiunge di aver saputo da un agente della sicurezza a Bruxelles che «i servizi d'intelligence hanno impiantato attrezzature di sorveglianza in diverse ambasciate arabe e islamiche e negli uffici di aziende internazionali collegate con paesi islamici e arabi. La fonte ha aggiunto che agenti sotto falsa identità, per lo più donne, hanno infiltrato istituzioni arabe e islamiche: e-mail, fax, e telefonate in partenza sono controllate, e anche i bidoni della spazzatura esterni agli edifici vengono frugati in cerca di qualunque informazione sulla natura dei messaggi inviati da queste organizzazioni».
Insomma, tutto è pronto in anticipo per una replica europea del grande delitto dell'11 settembre, e per la conseguente nube di disinformazione che dovrà coprire le tracce.
Come ci avevano avvertito i nostri informatori di area tedesca, l'attentato musulmano a Berlino pare imminente.


Avrà la massima forza spettacolare, data la presenza delle telecamere di tutto il mondo per l'evento sportivo.
E dovrà essere abbastanza spaventoso da cambiare del tutto il modo di pensare degli europei, far capire che anche loro sono aggrediti dai musulmani, e dunque devono unirsi alle guerre di Bush. Precisamente come aveva detto ai tedeschi Israel Singer, direttore del Congresso Mondiale Ebraico, nel 2003: «Voi credete che un 11 settembre può accadere solo negli Stati Uniti, voi credete di non essere bersagli del terrorismo. Decisamente, la lezione dell'11 settembre a New York in Europa è già dimenticata. Ma quando tremila persone verranno uccise anche qui [in Germania], allora tutte queste vostre preoccupazioni per i diritti umani scompariranno!».
Per poi aggiungere: «La presunzione europea e tedesca è uno scandalo! La Germania non conosce ancora questo problema. Ma può succedere anche qui. E i tedeschi cominceranno a pensarci, se vengono distrutti due grattacieli e muoiono tremila persone. Allora democrazia e diritti dovranno cedere di fronte alla necessità di protezione e sicurezza del popolo, e perderanno significato».
Prima che il panico - agitato come di dovere dai liberi media nostrani - ci renda impossibile obiettare ed anche solo pensare, ci si può ancora stupire un poco di quanto spesso il Mossad, o comunque ambienti israeliani, sappiano in anticipo degli attentati musulmani.


L'11 settembre impiegati della Odigo, una ditta israeliana di messaggeria elettronica con sede presso le Twin Tower, furono avvisati in anticipo da sms a sloggiare da quella zona.
I cinque ragazzoni israeliani, scaricatori di una ditta di traslochi, che furono fermati quel giorno dalla polizia di New York perché visti fotografarsi a vicenda, con l'aria di congratularsi, sullo sfondo dei due grattacieli in fiamme, dissero agli agenti: «non siamo noi il vostro problema, gli arabi sono il vostro e il nostro problema».
Un'ora dopo l'attentato, gli scaricatori sapevano già chi ne erano gli autori.
Il 7 luglio 2005, il giorno della strage al metrò di Londra, il Mossad avvertì il ministro Netanyahu, che si trovava nella capitale, di non uscire dall'albergo.
Purtroppo, l'informazione era arrivata al Mossad solo «sette minuti prima» dell'attentato, non abbastanza per salvare la sessantina di poveri passeggeri, appena in tempo perché il loro ministro non si trovasse in qualche guaio.
Ma anche noi a questo punto acquistiamo qualche capacità di preveggenza.
Siamo in grado di rivelare gli argomenti con cui i giornali di Mieli, Ferrara, Mimun, Magdi Allam, eccetera, ci spiegheranno perchè il folle atto mega-terroristico sia di matrice iraniana.
Teheran ha un evidente e concreto interesse a commettere atrocità nel vecchio continente poco propenso alle guerre per Israele, e ad alienarsi le opinioni pubbliche europee colpendole in ciò che hanno di più sacro (le celebrate radici calcistiche d'Europa), perché come dice Bush «odiano la nostra libertà».


Quella libertà a cui dovremo comunque rinunciare, come giustamente ha detto il profeta Israel Singer, perché il potere deve prima di tutto garantire la nostra sicurezza in pericolo, con arresti arbitrari, intercettazioni e torture.
Gli Hizbullah hanno in questo un interesse più concreto, per poter fornire al glorioso Tsahal il pretesto di rioccupare il Libano meridionale per dare all'Europa quella sicurezza di cui, all'improvviso, mancherà.
Teheran ha un interesse evidente a confermare quello che ripete da mesi ogni ministro israeliano: che «l'Iran nucleare non è un pericolo che riguarda Israele, ma il mondo intero».
Teheran ha l'assoluta necessità di dare ragione a quella curiosa pubblicità a tutta pagina, pubblicata qualche giorno fa su tutti i giornali anglo-americani a cura dell'American Jewish Committee (2). Questa inserzione mostrava una carta del mondo su cui si stendevano due cerchi concentrici con centro sull'Iran: la presunta gittata dei missili degli ayatollah.
Ebbene, da questo era chiaro che il raggio dei missili di Teheran possono colpire facilmente Germania, Italia, Inghilterra, Portogallo.
Lo slogan sull'inserzione domandava: «Può chiunque nel raggio dei missili iraniani sentirsi sicuro? Supponete che un giorno l'Iran dia a terroristi congegni nucleari. Può qualcuno, dovunque stia, sentirsi sicuro?».
Insomma la stessa cosa che ripetono i ministri di Sion; che l'Iran è un pericolo per tutto il mondo, e che il mondo deve azzerare prima che sia troppo tardi.
Ovviamente, a questo punto, Teheran non può fare a meno di sprecare uno dei suoi missili intercontinentali (che per ora non possiede) per colpire l'Europa.
E consegnare agli Hizbullah l'uranio che ha già arricchito (al 4%) perché lo spargano su Berlino.


Si sa che gli iraniani hanno un doppio motivo per colpire specificamente la Germania.
In Iran ci si tramanda e si alimenta il ricordo e la voglia di vendetta per i sei milioni di iraniani sterminati dal Terzo Reich.
E oggi questa Germania neutralista, che si sente al riparo dall'Islam, sta avvicinandosi troppo alla Russia.
Questo va assolutamente stroncato nell'interesse della fede sciita.
Il consiglio è ai musulmani che abitano in Europa di sprangarsi in casa con adeguate scorte di cus-cus nei giorni del mondiale, e ai tifosi di guardare le partite in TV.
Stare alla larga da Berlino - come sicuramente faranno in quei giorni i 25 mila ebrei che sono tornati ad abitarvi - perché è possibile che la bomba sia, se non nucleare, «sporca» e radioattiva. Probabilmente, un ordigno tratto dall'arsenale di armi di distruzione di massa di Saddam, e mai trovato, perché riparato in Iran e Siria.
E questa è la nostra profezia: se la bomba sarà «sporca», vuol dire che l'attacco del libero Occidente all'Iran si farà con bombe atomiche.
E stavolta, con corazzate anche francesi.
Chirac ha capito che se vuole sperare di contrastare l'irresistibile ascesa di Sarkozy, deve essere più likudnik di Sarkozy.

Maurizio Blondet


Note
1) Roee Nahmias, «Report: Israel warns of World Cup terror», Ynetnews, 26 maggio 2006.
2) «Can anyone within range of iranian missiles feel safe?», pubblicità sul New York Times del 18 maggio 2006.


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17.5.06

Tenetevi forte, il dollaro crolla e non si ferma
Maurizio Blondet
15/05/2006

In una tempesta di vendite, che ha sta precipitando il dollaro ai minimi storici contro tutte le monete, il Fondo Monetario sta organizzando riunioni segrete fra USA, Cina ed altri Paesi maggiori, in un tentativo d'emergenza di scongiurare il collasso globale.
I mercati finanziari sono nel panico.
«Ci troviamo in un clima da grande crollo», ha detto David Brown, capo economista per l'Europa alla Bear Stearns.
Ed ora si aspetta la «fase due», che colpirà i mercati azionari, fra volatilità e incertezza estrema.
In gran parte, la causa del disastro sono le banche asiatiche che, prese dal panico, si stanno liberando dei dollari che avevano in eccesso, guadagnati con l'export.
Le avvisaglie s'erano avute la settimana scorsa.
Mercoledì a Mosca, Putin dice: «finiremo per aprire una borsa in Russia per trattare greggio, gas ed altre merci contro rubli»: rubli, non dollari.
Poche ore dopo a Pechino un economista della Banca Centrale cinese, di nome Tan Yaling, invita il proprio governo a quadruplicare le riserve d'oro che ha in cassaforte: «maggiori riserve auree aiuteranno ad affrontare emergenze in caso di turbolenze possibili nella situazione economica e politica».


I due grandi Paesi hanno un problema in comune: hanno in cassa troppi dollari americani.
La Russia, grazie ai rincari del greggio, ha raddoppiato le sue riserve da novembre 2004: oggi sono a 226 miliardi di dollari, le quarte riserve mondiali.
La Cina, grandissima esportatrice, ne ha in cassaforte più di 875 miliardi.
E siccome il dollaro ha perso valore (del 2,5% sul rublo in un solo mese), a perdere valore è quella loro montagna di risparmi.
Il viceministro delle Finanze cinesi, Yong Li, pochi giorni fa ad una riunione della Banca Asiatica di Sviluppo ad Hyderabad in India, ha messo in guardia contro certe «voci» secondo cui «il dollaro potrebbe deprezzarsi del 25 %» sospettando di questa volontà gli Stati Uniti.
Ad un incontro del Fondo Monetario, il ministro russo delle Finanze Alexei Kudrin ha avvertito: «il dollaro sta perdendo la sua posizione di stabile moneta di riserva mondiale».
Subito dopo, la moneta americana è calata ancora.
Così mercoledì la Federal Reserve ha aumentato i tassi a breve al 5% senza escludere altri aumenti.


Persino la Banca Centrale di Svezia, il mese scorso, ha annunciato che sta alleggerendo le sue scorte di dollari dal 37 al 20 %.
La Banca Centrale russa sta facendo lo stesso: ora tiene 40 euro ogni 60 dollari, contro il rapporto 35 euro contro 65 dollari di un anno fa.
La Norvegia, terzo esportatore mondiale di petrolio, sta meditando a voce alta di vendere il suo greggio non contro dollari, ma contro euro.
Per non parlare dell'Iran, che sta aprendo una borsa petrolifera in euro.
Magari lo fa per pura ostilità verso Washington.
«Ma in realtà i produttori petroliferi constatano che i loro migliori clienti sono gli europei, e che dall'Europa comprano la maggior parte delle loro importazioni», dice Chris Cook, ex capo dell'International Petroleum Exchange di Londra, ed ora impegnato ad allestire la futura borsa di Teheran: «dunque non hanno bisogno di tanti dollari».
Il fatto è che gli USA importano a man bassa pagando con dollari che stampano a volontà; ma i venditori si accorgono che, con quei dollari, hanno ben poco da comprare in America.
La Russia ha già fatto notare che la parte del leone delle proprie importazioni viene dall'area euro e magari dal Giappone, non dall'area-dollaro.


Quanto agli Stati del Golfo, accettano ancora dollari, ma solo perché temono di rovinarsi i rapporti con Washington.
Se vendessimo il greggio in euro, ha detto Yussef Ibrahim, direttore dello Strategic Energy Investment Group, «gli USA lo vedrebbero come una dichiarazione di guerra economica, che provocherebbe il crollo del dollaro e una concatenazione di eventi che avrebbero effetti enormi sull'economia mondiale. Certo che se accade, si entra in una partita completamente nuova».
D'altra parte, i detentori di dollari temono di vedere squagliarsi la loro riserva, perché ogni volta che annunciano di voler diversificare il dollaro si deprezza.
I sospetti che Washington voglia lasciar cadere la sua moneta sono forti, sintomo di una sfiducia mondiale verso il governo Bush.
E la sfiducia aggrava la crisi del dollaro e aumenta le ansie dei creditori, in un circolo vizioso.
Così la Cina è tentata, seguendo il consiglio dei suoi esperti, di cambiare una parte dei suoi dollari nel classico bene-rifugio, l'oro.
Se quadruplicasse i suoi possessi in lingotti, passerebbe da 600 a 2500 tonnellate: ma nel momento peggiore.
Perché l'oro in questi giorni è carissimo: sta superando i 710 dollari l'oncia (nel 2001 ne valeva 260).
Dunque, se Pechino si deciderà a comprare a questo prezzo, è segno che teme che l'oro vada a 1000, ossia che il calo del dollaro stia per mutarsi in tracollo.

Del resto, proprio il rincaro rapidissimo delle materie prime - l'oro balza di una ventina di dollari al giorno, il rame di 500 a tonnellata - dice quanto il timore del peggio sia diffuso; i prezzi inflazionati dei metalli rivelano per sé la perdita di potere d'acquisto del dollaro, il suo deprezzamento imponente.
Ci sono in giro troppi dollari, il governo USA ne ha stampati troppi per pagare i consumi e le guerre, e tutti vogliono ormai liberarsene.
Specie perché gli USA promettono di stamparne ancora, visto che il limite dell'indebitamento federale, posto dal governo americano a se stesso, viene alzato continuamente.
E sta sfondando ormai i 10 mila miliardi, dieci trilioni.
I creditori, sempre più nervosi, temono che il debitore dichiari bancarotta.
Da qui i litigi.
Il ministro Yong Li accusa Washington di star meditando di deprezzare il dollaro del 25% (tagliando di altrettanto il proprio debito, e insieme il valore delle riserve cinesi); Washington rimbecca che è la Cina a dover rivalutare il suo yuan, che tiene artificialmente basso per esportare di più e rovinare i concorrenti americani; il ministro giapponese Sadazaku Tanigaki prende le parti della Cina intimando di non parlare troppo di «riallineamenti dei tassi di cambio, perché sarebbe un colpo per i mercati finanziari globali».
Insomma, il succo dell'alterco internazionale è: «voi non provatevi svalutare», contro «e allora rivalutate voi».


Alla fine, tra i litiganti s'è intromessa una voce: «lasciate cadere il dollaro, o si rischia il caos economico globale».
Il grido viene dal Financial Times, per la precisione dal suo direttore Martin Wolf, che è anche - e soprattutto - membro del Bilderberg Club, la madre di tutti i salotti buoni, il consesso segreto dei capitalisti occidentali.
Martin Wolf è stato il moderatore di un seminario dei governatori delle Banche Centrali asiatiche ad Hyderabad.
Ed ha rivolto a Cina e Giappone un paio di domande.
«Siete d'accordo che gli USA hanno un deficit enorme dei conti correnti? Pensate che sia sostenibile?».
Risposta obbligata: no, l'enorme debito americano non è sostenibile.
E dunque, domanda Wolf, si può ridurre il deficit USA senza lasciare che gli USA svalutino?
Per potere, si può «ma ad un prezzo catastrofico per tutti, perché richiederebbe una recessione profondissima in America».
Con una caduta del prodotto lordo americano del 7 %, gli americani smetterebbero di consumare ai loro insaziabili ritmi attuali, dunque di comprare merci da Cina e Giappone: cadrebbe una gelida deflazione sul Paese debitore, e inflazione esplosiva nei Paesi creditori.


E il direttore del Financial Times conclude con un avvertimento: «i Paesi in attivo [Cina, Giappone e Russia] non devono credere che l'attuale corso delle cose sia benigno. Al contrario, è molto pericoloso politicamente ed economicamente. Pone una grave minaccia su un sistema di libero commercio che è già minato».
Quei Paesi «che accumulano montagne sempre più alte di titoli di debito americano stanno giocando d'azzardo con la ricchezza dei loro cittadini, e contano troppo che le pressioni protezioniste in USA siano contenibili».
Ma al Congresso già pende un progetto di legge per schiaffare dazi del 27 % sulle merci cinesi.
Se si pensa che viene da un uomo-Bilderberg, quest'avvertimento è una minaccia: lasciate crollare il dollaro quanto vuole Bush, altrimenti anche voi sarete tutti rovinati.
La vittima sarà l'euro e i suoi detentori, cioè noi, perché la moneta europea si apprezza - forse fino a 1,40 entro l'anno - e rende meno competitive le merci continentali.
La crisi è invece benvenuta dalla Banca Centrale americana, che forse la sta provocando, perché più si deprezza il dollaro, più calano gli astronomici debiti e deficit USA.
E' una forma pilotata di bancarotta.
Ma naturalmente, ciò rende sempre più vicina la crisi sistemica globale prevista e temuta dall'ente francese di anticipazione politica, LEAP.


Già a febbraio questo istituto di analisi sosteneva che la crisi mondiale era già in fase di «accelerazione», e che sarebbe passata alla fase di «impatto» quando si verificheranno almeno quattro degli eventi seguenti (1).
1. L'effondrement accéléré du dollar
2. Une crise socio-politique interne aux Etats-Unis
3. Un conflit militaire Iran/Usa/Israel
4. Une inflation mondiale accrue
5. La rupture du processus de globalisation commerciale et économique
6. L'émergence accélérée de nouveaux «blocs» régionaux/continentaux
7. Un rééquilibrage de la valeur relative des actifs mondiaux
Almeno tre di queste condizioni sono già presenti: caduta del dollaro, inflazione mondiale (rincaro dell'oro e dei metalli), l'emergere accelerato di blocchi continentali o regionali (l'avvicinamento di Germania-Russia e Russia-Cina).
La crisi interna degli Stati Uniti diventa ogni giorno più probabile.
La guerra all'Iran, più vicina.
In che consiste dunque la prossima fase, l'«impatto»?
Nella «transformation radicale du système lui-même (implosion et/ou explosion) sous l'effet des facteurs cumulés, et qui affecte simultanément l'intégralité du système», ossia del capitalismo globale ultraliberista dominato dai profitti finanziari.
Tenetevi forte.

Maurizio Blondet


Note
1)
«Juin 2006, entrèe dans la phase 2 de la crise sistèmique globale, l'accelèration», Europe 2020, 12 maggio 2006.

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